Fonte: Corriere della Sera
di Federico Furbini
Le stragi di Bruxelles servono per impedire a tutti noi europei di rispondere alle nostre crisi, appoggiandoci su un minimo di solidarietà e di buon senso
terroristi non avrebbero potuto augurarsi di meglio. L’altra mattina a Bruxelles le salme erano ancora riverse nel metrò quando sono iniziate ad arrivare le prime dichiarazioni dei fautori della Brexit. Il senso di quelle reazioni da Londra, sempre lo stesso: il Regno Unito non sarà al sicuro finché non riesce ad alzare i ponti levatoi, staccandosi dall’Unione europea. «Bruxelles, capitale di fatto dell’Unione europea, è anche la capitale jihadista d’Europa. E ci vengono a dire che siamo più protetti se restiamo nella Ue!», ha scritto sui social network l’editorialista del Daily Telegraph Allison Pearson.
Non c’è niente di casuale nel momento e nei luoghi scelti dall’Isis per terzo atto di guerra in Europa in poco più di un anno. L’attacco sarà stato precipitato dalla cattura di Salah Abdelslam, l’attentatore di Parigi. Ma il disegno e gli obiettivi nevralgici sembrano pensati direttamente per intossicare l’Unione europea, e impedirle di funzionare. Dalla minaccia di secessione britannica alla gestione dei rifugiati e dei migranti, i nostri nemici vogliono paralizzarci e dividerci grazie alle nostre stesse crisi. Colpiscono nei momenti e luoghi più adatti per impedire a mezzo miliardo di europei di vivere nell’ordine legale e politico costruito in tre generazioni.
Naturalmente il referendum britannico del 23 giugno resta aperto; sarà deciso da vari fattori, molti dei quali interni al Regno. Ma la piega ferocemente pragmatica che ha subito preso la campagna per l’uscita dall’Unione mostra quanto sia lunga la catena del domino che adesso può partire. Alcuni dei pezzi minacciano di cadere nei prossimi mesi anche in Italia. Il referendum sulla Brexit non è il solo esempio, eppure coinvolge il nostro Paese per una ragione specifica: una vittoria nelle urne del «No» alla Ue, magari favorita dalla tragedia di Bruxelles, diventerebbe un precedente destinato a sollevare domande molto serie anche sul dopo. Se l’Unione europea perde pezzi, gli investitori tornerebbero a chiedersi se anche l’euro non rischi la stessa sorte. Molti si ricorderebbero di colpo che l’Italia, con il suo fragile debito da 2.200 miliardi, resta fra i Paesi più esposti in caso di frammentazione delle istituzioni europee.
Per questo l’agguato a Bruxelles sembra studiato per infliggere il massimo danno politico, quasi che l’Isis cerchi di risvegliare i peggiori riflessi del continente. Basta rileggere le frasi pronunciate mercoledì da Beata Szydlo, premier della nuova Polonia nazionalista e euroscettica: «Noi leader europei credevamo di aver trovato un buon compromesso, una soluzione alla crisi dei rifugiati, perché eravamo riusciti a concludere un accordo con la Turchia», ha detto. «Ma è passato qualche giorno e improvvisamente i terroristi hanno ridicolizzato il nostro accordo, hanno mostrato all’Europa che nuove dichiarazioni, nuovi documenti, nuove trattative di ore e ore non significano molto».
Anche in questo caso, l’Isis non poteva centrare meglio i suoi obiettivi politici. Bruxelles piange le sue vittime e la Polonia fa sapere, per prima, che si sfila dall’accordo sulla gestione dei rifugiati sottoscritto otto giorni fa a duecento metri da quella fermata del metrò ormai devastata. Varsavia non farà la sua parte, non accoglierà più la sua quota di 7.000 rifugiati siriani. È noto che, per quanto discutibile, il compromesso di Bruxelles si centra su un equilibrio preciso: la Turchia accetta di riprendere chiunque sbarchi senza i documenti in regola sulle isole greche, a patto che poi i profughi siriani vengano trasferiti nei Paesi europei in base a un sistema di quote. A ciascuno la sua parte di rifugiati, in proporzione. Se questo o quel governo iniziano a sottrarsi, perché considerano qualunque rifugiato siriano un potenziale terrorista, allora anche gli altri governi rischiano di voltare le spalle al compromesso per non doverne accogliere di più. Rischia di saltare l’intero compromesso, il primo in Europa sul tema dei rifugiati, dopo le stragi del 22 marzo. Ma senza accordo diventa impossibile tornare a un’apparenza di normalità e alla riapertura delle frontiere interne dell’Europa.
Non poteva crearsi un terreno peggiore per le prossime decisioni, che servono tutte e urgentemente. Stima Federica Mogherini, alto rappresentante Ue della politica estera, che in Libia rimangono 450 mila persone in attesa di imbarcarsi per l’Italia. In gran parte sono migranti economici, non profughi. Significa che i tre miliardi di euro di aiuti promessi nel 2016 alla Turchia per collaborare in teoria andrebbero almeno triplicati, ogni anno, per poter cooperare con i Paesi limitrofi e poter contenere i flussi. Anche le regole sull’accoglienza e il diritto d’asilo vanno riviste al più presto, in modo da non scaricare tutti gli oneri sui Paesi mediterranei degli sbarchi ed evitare che gli altri chiudano i confini. Inutile girarci intorno: in gioco c’è (anche) l’accesso futuro dell’Italia all’area di libera circolazione di Schengen.
Così le stragi dell’Isis a Bruxelles servono per impedire a tutti noi europei di rispondere alle nostre crisi, appoggiandoci su un minimo di solidarietà e di buon senso. Anche per questo è imperativo reagire per non consegnare ai nostri nemici questa indegna vittoria. La meritiamo noi.