19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

Voto vincolante del Parlamento britannico sugli accordi finali

Smacco per il governo britannico di Theresa May a Westminster nel giorno in cui Strasburgo dà l’agognato “nulla osta” al Consiglio Europeo a procedere verso la fase due del faticoso negoziato sulla Brexit dopo l’intesa sui nodi preliminari.
Una pattuglia di `ribelli´ venuta allo scoperto all’interno del gruppo Tory ha mandato ko in serata la precaria maggioranza che regge la premier su un emendamento chiave alla European Union (Withdrawal) Bill, la legge quadro destinata ad attuare il divorzio da Bruxelles, mettendo per la prima volta sotto l’esecutivo con il contributo determinante delle opposizioni: laburisti in testa.
A guidare gli `ammutinati´ – anche se loro rifiutano di farsi bollare così – è stato il più improbabile dei sovversivi, il pacato ex Attorney general Dominic Grieve, deciso a ottenere un voto parlamentare vincolante sul risultato finale delle trattative di sganciamento dall’Unione. Tentativo coronato da successo dopo un dibattito serrato durante il quale Grieve ha evocato addirittura il fantasma di Winston Churchill («un buon uomo di partito mette il partito davanti a se stesso, ma il Paese davanti al partito») e una sfida all’ultimo voto. Alla fine i sì alla modifica sono stati 309, compresi una dozzina di conservatori e le truppe del Labour di Jeremy Corbyn per una volta compatte. Mentre i no si sono fermati a 305, nonostante gli appelli alla disciplina di maggioranza, le pressioni, le lusinghe e l’offerta in extremis di concessioni almeno parziali avanzata dal viceministro della Giustizia, Dominic Raab: il quale, a conti fatti, è riuscito a riportare nell’ovile dell’astensione non più di tre o quattro “reprobi”.
Non si tratta ancora della parole fine, nel complesso iter di approvazione della legge. Ma per il governo è un bruttissimo segnale. Mentre a cantare vittoria non sono solo i sostenitori Tory di una Brexit super soft, come l’ex ministra Nicki Morgan («stasera il Parlamento ha ripreso il controllo del processo» di uscita dall’Ue, il suo tweet a caldo), ma anche oppositori a tutto tondo come l’attivista e businesswoman Gina Miller. Oltre naturalmente a Corbyn, che parla di «una sconfitta» e di «una perdita umiliante di autorità» per Theresa May, denunciandone la cocciutaggine e tornando a fiutare lo spiraglio di una crisi che potrebbe persino aprirgli la via di Downing Street.
L’emendamento della discordia, il numero 7, non riflette a rigore il diritto a un rovesciamento della Brexit sancita dal referendum del 2016, come gli stessi proponenti assicurano. Ma mette nero su bianco nel testo della Withdrawal Bill l’obbligo dell’esecutivo a sottoporre gli accordi conclusivi negoziati con Bruxelles allo scrutinio di deputati e lord prima di poter dar luogo a una qualsiasi attuazione.
May aveva tentato di disinnescare la `bomba´ in prima persona nel pomeriggio ribadendo nel corso del Question Time la promessa del passaggio d’un voto delle Camere «ben prima» della formalizzazione del divorzio. E lo stesso aveva fatto il ministro-negoziatore della Brexit, David Davis, in una lettera indirizzata a tutti i parlamentari Tory. Ma a Grieve e agli altri non è bastato. Volevano essere certi, hanno spiegato, che Westminster potesse avere «l’ultima parola» sulle intese, senza chinarsi alla formula del `prendere o lasciare´ evocata da Davis. Se l’emendamento non verrà riassorbito in una qualche fase successiva, esso imporrà invece la `strettoia´ di un formale Act of Parliament che l’esecutivo non potrà bypassare neppure in extremis con provvedimenti d’autorità. Di fatto uno scenario in grado di creare potenzialmente situazioni di stallo nell’ipotesi di dissidi su punti o norme attuative cruciali.
Senza contare le conseguenze sui fragili equilibri della coalizione e dello stesso Partito Conservatore, nel cui seno le divisioni fra pragmatici ed euroscettici minacciano ora di sfociare in una frattura irrimediabile per la tenuta della leadership di May e della legislatura. Sullo sfondo di un’aula che ha mostrato per la prima volta di poter avere concretamente i numeri per scalfire la `grande legge quadro´ – passata indenne alla prima lettura nella versione base imposta dal governo – e azzoppare la maggioranza. Se non affondarla una volta per tutte.

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