Fonte: Sole 24 ore
di Alberto Magnani
Il neo-premier britannico minaccia di congelare il «Brexit bill», la somma dovuta da Londra alla Ue in caso di separazione. Tecnicamente è possibile. Ma la scelta rischia di ritorcersi contro più il Regno Unito che la Ue
Lo aveva annunciato in campagna elettorale. Ora vuole essere di parola, costi – letteralmente – quel che costi. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha ribadito la sua volontà di non pagare i 39 miliardi di sterline dovuti alla Ue: il cosiddetto Brexit bill, la «fattura di divorzio» concordata da Londra e Bruxelles per l’addio del Regno Unito dal perimetro comunitario.
Johnson ha confermato il proposito nei suoi primi interventi alla Camera dei Comuni, il parlamento britannico, spiegando che la somma potrebbe essere lasciata in sospeso come strumento di pressing nelle nuove negoziazioni con la Ue ( o diventare un serbatoio d’emergenza per attutire lo choc economico di una Brexit no-deal).
I vertici europei non sembrano avere alcuna intenzione di cedere, anche se Johnson ha già messo in chiaro che non si farà vivo a Bruxelles senza un via libera formale alle sue “proposte” di rinegoziazione dell’accordo. L’ipotesi di trattenere in patria una somma pari a quasi il 2% del Pil britannico non può che fare breccia sull’elettorato conservatore. Ma il conto da pagare potrebbe essere ben più salato della «bill» contesa fra Regno Unito e Bruxelles.
Perché il Regno Unito deve pagare?
Il Brexit bill, negoziato dall’allora premier Theresa May, equivale a un «patteggiamento» per corrispondere alla Ue tutti gli obblighi che avrebbero dovuto essere onorati prima del suo addio all’Europa: dai contributi ordinari al b udget europeo per il 2019 e il 2020 al finanziamento delle pensioni per lo staff Ue. L’intesa di May non specifica la cifra esatta, facendo sì che manchi a tutt’ora un valore concordato della «fattura di divorzio» dovuta da Londra a Bruxelles.
Nell’ accordo siglato dall’ex premier con i partner europei si parla infatti genericamente di «calcoli» che dovranno essere svolti sulle varie voci di spesa rimaste in sospeso dopo il divorzio fra Londra e Bruxelles. Ad esempio l’Office for budget responsability, l’istituto del Tesoro britannico che si occupa di analisi e previsioni sull’economia nazionale, si orienta su un valore di circa 38 miliardi di sterline, mentre il governo fissa una forbice fra i 35 e i 39 miliardi di sterline. Sempre l’Obr, scrive l’emittente britannica Bbc, prevede che il pagamento possa essere smaltitoper oltre il 75% entro il 2020, dilatando poi alcuni versamenti fino al 2060.
Johnson può trattenerli. A suo rischio e pericolo
Lo scenario tratteggiato dall’Obr, però, si attiene ai patti precedenti all’ascesa di Johnson. Il neopremier vuole ora «congelare» il pagamento fino al raggiungimento di una intesa più favorevole al Regno Unito, attingendo nel frattempo alle risorse nazionali per un fondo che faccia da cuscinetto a uno strappo no-deal con l’Europa. Tecnicamente è possibile: la tesi di Johnson è che l’accordo di Theresa May è «morto» perché non ha ricevuto la ratifica della Camera dei Comuni. «In caso di no-deal, Johnson può non tenere conto delle condizioni di recesso perché l’accordo di recesso non entrerà in vigore – spiega Fabrizio Casolari, professore di Diritto europeo all’Università di Bologna – Comprese le disposizioni che sono relative al quadro finanziario».
Nei fatti, però, l’intesa è stata firmata dai leader europei e ha quindi valore per una delle due parti al tavolo. La stessa che potrebbe sentirsi lesa e rivalersi in vari modi di fronte alla decisione di Johnson. «Finché resta nella Ue, il Regno Unito è tenuto a fare fede agli obblighi di contributo finanziario che ha assunto – dice Casolari – In caso di Hard-Brexit questo verrebbe meno. Ma si creerebbe una controversia internazionale».
La disputa può esplodere in vari modi. Alex Stojanovic, ricercatore al think tank Institute for governament, spiega che il boomerang del non-pagamento si abbatterebbe su Londra a livello reputazionale e giuridico: «In primo luogo – dice Stojanovic – si danneggerebbe la fiducia nel paese: la Ue sostiene che quei soldi siano dovuti e, davanti al rifiuto di Johnson, potrebbe far saltare accordi bilaterali favorevoli al Regno Unito» . In seconda battuta, prosegue Stojanovic, i leader Ue potrebbero fare ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Non alla Corte europea di giustizia? «No, perché in caso di divorzio no-deal non avrebbe più alcun potere su Londra – dice Stojanovic – E in ogni caso la Ue potrebbe decidere, ad esempio, di sospendere ogni trattativa fino a un cambio di opinione di Johnson». In ogni caso, anche la sede stessa dell’Aia non può essere data per scontata. Trattandosi di una controversia senza precedenti, sarebbe difficile stabilire una sede competente per giudicare chi abbia ragione nella disputa sul versamento dei 39 (o 38, o 35) miliardi rimasti in sospeso.
No-deal, crescono le probabilità
Di sicuro peggiorerebbeiln muro contro muro fra Londra e Bruxelles, anche se la situazione sembra giàampiamente in stallo “grazie” ai problemi di comunicazione emersi con l’insediamento dell’ex sindaco di Londra alla guida dei Conservatori e del paese. Nei fatti, però, l’intesa è stata firmata dai leader europei e ha quindi valore per una delle due parti al tavolo. La stessa che potrebbe sentirsi lesa e rivalersi in vari modi di fronte alla decisione di Johnson. «Finché resta nella Ue, il Regno Unito è tenuto a fare fede agli obblighi di contributo finanziario che ha assunto – dice Casolari – In caso di Hard-Brexit questo verrebbe meno. Ma si creerebbe una controversia internazionale».
La disputa può esplodere in vari modi. Alex Stojanovic, ricercatore al think tank Institute for governament, spiega che il boomerang del non-pagamento si abbatterebbe su Londra a livello reputazionale e giuridico: «In primo luogo – dice Stojanovic – si danneggerebbe la fiducia nel paese: la Ue sostiene che quei soldi siano dovuti e, davanti al rifiuto di Johnson, potrebbe far saltare accordi bilaterali favorevoli al Regno Unito» . In seconda battuta, prosegue Stojanovic, i leader Ue potrebbero fare ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Non alla Corte europea di giustizia? «No, perché in caso di divorzio no-deal non avrebbe più alcun potere su Londra – dice Stojanovic – E in ogni caso la Ue potrebbe decidere, ad esempio, di sospendere ogni trattativa fino a un cambio di opinione di Johnson». In ogni caso, anche la sede stessa dell’Aia non può essere data per scontata. Trattandosi di una controversia senza precedenti, sarebbe difficile stabilire una sede competente per giudicare chi abbia ragione nella disputa sul versamento dei 39 (o 38, o 35) miliardi rimasti in sospeso.
No-deal, crescono le probabilità
Di sicuro peggiorerebbe il muro contro muro fra Londra e Bruxelles, anche se la situazione sembra giàampiamente in stallo “grazie” ai problemi di comunicazione emersi con l’insediamento dell’ex sindaco di Londra alla guida dei Conservatori e del paese.