Fonte: Corriere della Sera
di Beppe Severgnini
La caotica vicenda della Brexit contiene un insegnamento per l’Italia perché anche noi stiamo giocando col fuoco. Non possiamo sfidare, da soli, la Commissione e gli altri Stati membri: si rischia lo scivolamento preterintenzionale fuori dall’Europa
C’è una lezione, nel pasticciaccio brutto della Brexit, che interessa anche noi italiani. Le svolte storiche, quasi mai, vengono calcolate e previste. Succedono e basta. Un episodio, o una serie di episodi, provocano il distacco della valanga degli avvenimenti. A quel punto, bisogna solo capire in che direzione rotolerà, e correre ai ripari. Fermarla non è più possibile.
Tra le notizie di queste ore — il governo di Theresa May ha accettato la bozza di accordo per l’uscita dall’Unione Europea, poi ha cominciato a squagliarsi — e il referendum con cui David Cameron decise di affidare all’umore del momento la permanenza nell’Ue, il filo è tenue. Venti mesi di negoziati complessi e drammatici, pieni di sospetti, di blocchi e di faticose ripartenze. Nessuno immaginava cosa sarebbe accaduto, nel giugno 2016; nessuno, ancora oggi, sa cosa accadrà. La riottosa House of Commons dovrà approvare il nuovo deal, e non è detto che ciò avvenga.
Un accordo o il caos!, ha ammonito il primo ministro. Ma un accordo si sceglie, e richiede un voto; nel caos si precipita, come stiamo vedendo. Quattro dimissioni in una giornata. E in Gran Bretagna, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, è stato nominato un ministro incaricato degli approvvigionamenti alimentari (il 40% oggi viene importato): non un buon segno. Lo scontro cui stiamo assistendo non è solo pratico: è quasi religioso.
C’è qualcosa dell’Inghilterra di Enrico VIII nell’Inghilterra di William e Kate: e questo, di per sé, è stupefacente. L’Europa, per i sostenitori britannici di un accordo, rappresenta una convenienza. Ma per molti parlamentari conservatori, per gli unionisti dell’Irlanda del Nord e per circa metà della popolazione l’antieuropeismo è una questione di fede. La Ue è un labirinto demoniaco da cui la Gran Bretagna deve uscire a tutti i costi. La contaminazione — peraltro in corso da anni — tra l’Irlanda fieramente protestante e quella felicemente cattolica? Impensabile, secondo i Brexiteers: occorre reintrodurre un hard border, un confine fisico, anche se rischia di affondare l’economia dell’isola.
Il 29 marzo 2019, data fissata per l’uscita dalla Ue, si avvicina. Restare in un’unione doganale e commerciale ha senso: per Londra, per la Gran Bretagna, per i 27 Paesi europei con cui lavora e commercia. Ma l’impressione è che il senso, e il buon senso, siano stati travolti dalle emozioni e dalla retorica. Per una nazione che ha, come segni identitari, il realismo e l’ironia, sembra una beffa.
Tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’Europa — intesa come comunità istintiva di popoli insediati nella stessa parte del pianeta — devono sperare che, piano piano, le cose si aggiustino. Punire e umiliare una grande nazione è sempre sbagliato (i dopoguerra non ci hanno insegnato niente?). Infierire su un Paese orgoglioso come il Regno Unito è anche rischiosamente stupido; peggio, infantile. Anche perché non ci sono state guerre, per fortuna; Brexit è la conseguenza di un voto. L’esito non ci è piaciuto? Non fa niente: è stata la decisione di un Paese amico, e dobbiamo accettarla.
Perché abbiamo scritto, all’inizio, che questa caotica vicenda contiene una lezione per l’Italia? Perché anche noi stiamo giocando col fuoco; e il gioco potrebbe sfuggirci di mano. Non possiamo sfidare, da soli, la Commissione e gli altri Stati membri; né provocare continuamente l’Unione europea, immaginando uno scossone populista nelle prossime elezioni europee (i partiti tradizionali, secondo i sondaggi, disporranno di una solida maggioranza). È una questione di tono e di tattica, non solo di sostanza.
Ho incontrato a Milano, giorni fa, l’ex-premier Paolo Gentiloni (l’intervista uscirà giovedì su 7-Corriere). Mi è sembrato che lo scivolamento preterintenzionale fuori dall’Europa costituisca, oggi, la sua principale preoccupazione. Il Regno Unito — con la sua storia, le istituzioni, la sua economia — è dovuto scendere a patti con la Ue, non è riuscito a scalfire il consenso europeo. Non ci riuscirà neppure «l’Italietta con la faccia feroce», evocata da Gentiloni. Oltretutto è una maschera, e non ci appartiene. Il volto dell’Italia, appena sotto, è più intenso e più serio.