Fonte: La Repubblica
di Enrico Franceschini
Prima del referendum avevamo raccolto le speranze e le previsioni dei concittadini che vivono e lavorano in Gran Bretagna. Oggi i loro commenti dopo il voto raccontano di amarezza e sorpresa, ma anche di speranza per la costruzione di nuovi rapporti e anche nuove occasioni di business. “Non è la fine del Paese che amiamo”
Amareggiati, feriti, arrabbiati, delusi. Gli italiani di Londra e dintorni, mezzo milione di persone, la più grande comunità di nostri connazionali all’estero, escono da Brexit come si esce da una love story finita male – con un tradimento. E a tradirli, ripetono in tanti, è stata l’Inghilterra, il paese che hanno tanto amato, a cui hanno tanto dato, da cui hanno anche tanto avuto. Li avevamo interpellati subito prima del referendum: qualcuno sperava, qualcuno temeva, qualcuno se la prendeva con la Gran Bretagna, qualcuno con l’Unione Europea, qualcuno si rassegnava a prendere se necessario la cittadinanza britannica, qualcun altro meditava di emigrare eventualmente in Australia. Adesso, dopo il voto con cui il Regno Unito ha scelto di uscire dalla Ue, sono annichiliti, stupefatti, furiosi. Ma non del tutto rassegnati.
Giandomenico Iannetti, docente di neuroscienze, University College London
“Ho mandato una email a tutti i miei ricercatori per cercare di rassicurarli, ma mi rendo conto che posso farlo fino a un certo punto. Alcuni di loro hanno domande in sospeso per ottenere fondi per la ricerca dall’Unione Europea su base quinquennale o anche più lunga: continueranno a ricevere quei finanziamenti? Personalmente, poi, mi sono sempre sentito in debito con l’Europa per avere ricevuto quella che ritengo un’istruzione gratuita di grande qualità dalla scuola e dall’università italiana. Mi sentivo di saldare in parte quel debito facendo ricerca in un’università britannica che è parte dell’Europa. Se non sarà più parte dell’Europa, mi sento meno giustificato a restare qui”.
Ornella Tarantola, libraia, Italian Bookshop
“Sono appena stata in Italia dove ho camminato sul ponte di Christo sul lago d’Iseo, un’installazione unica al mondo nata grazie a una collaborazione di tante teste europee. Culturalmente, adesso, in Inghilterra saremo più poveri e più isolati. Per ora in me vince la tristezza, la preoccupazione per un futuro incerto. Londra è la mia casa. Questo paese mi ha insegnato e dato tanto. Mi rifiuto di sentirmi straniera a casa mia. Lotterò contro qualunque razzismo strisciante e contro la paura che ha fatto vincere chi mi vorrebbe chiudere in un angolino e non più come parte integrante di questa città. Sì, sono tristissima, ma io e il 48% che hanno votato Remain qualcosa faremo. Continuiamo a sognare, come fa Christo con i suoi ponti d’oro sull’acqua fatti da bulgari, polacchi, francesi e italiani”.
Barbara Placido, avvocata, Cambridge
“All’alba di venerdì mattina, mi è sembrato di essermi svegliata in un incubo. Più tardi, ho vagato stordita, incredula e stupefatta trovando consolazione in conoscenti, colleghi e amici che si dichiaravano attoniti, furiosi e imbarazzati di essere cittadini di questa non più tanto ‘Gran’ Bretagna. Sabato, sono andata a fare la spesa chiedendomi quanti dei negozianti, postini, baristi, avventori che mi circondavano saranno ancora qui in un mondo post-Brexit. Domenica è stata una giornata triste. Come quando si è appena spento una persona cara, e si inizia a sentire il peso, il vuoto e la disperazione di un lutto. E con questo, la rabbia. Un paese diviso? Assolutamente. Io non voglio avere niente a che vedere con quel 52% dell’elettorato che ha creduto alle bugie, sposato la retorica, accolto i discorsi e le utopie di personaggi come Boris Johnson, Nigel Farage, Michael Gove, Jeremy Hunt. Come non voglio avere niente a che fare con chi ha creduto in a David Cameron, un uomo che si è venduto l’anima (e il suo paese) per qualche mese in più al governo. I loro sogni e le loro nostalgie non sono la mia. La Gran Bretagna che voglio non è un paese ordinato e composto, omogeneamente bianco, quello delle sale da tè di provincia, dei club che accettano solo uomini, delle corse di cavallo ad Ascot, dell’opera a Glyndborne. Per quanto seducenti, per quanto ‘delightfully quaint’ queste immagini possano essere, non è certo questo il paese che considero il mio paese. La mia Gran Bretagna è un paese disordinato, eccentrico, eclettico, multiculturale, ironico e accogliente – il paese di David Bowie e Sadiq Khan, di Jo Cox e David Hockney e Danny Boyle, un paese che onora il suo National Health Service ed è orgoglioso del suo Benefit System. Non sarà la fine della Gran Bretagna che amo, ma il 23 giugno ci ha fatto fare un enorme salto verso un paese orgoglioso di dirsi meschino, egoista, chiuso in se stesso e privo di interesse verso gli altri. Un paese in caduta libera, e al momento non si riesce a vedere cosa potrebbe frenarlo”.
Mauro Perretti, docente di farmacologia, Queen Mary University
“Nella vita non ci sono più ideologie ma bisogna avere qualche ideale. Io sono a Londra da 25 anni, mi sento profondamente europeo e non intendo prendere la cittadinanza britannica. Se la Gran Bretagna uscirà dalla Ue, me ne vado a lavorare da qualche altra parte sul continente”.
Mariarita Calaminici, ematopatologa, St. Bartholomew’s Hospital
“La sera del referendum sono andata a dormire con qualche speranza e una lieve preoccupazione davanti ai primi risultati. La mattina dopo mi sono svegliata alle cinque, ho preso il telefonino, letto la notizia sulla Bbc e gridato ‘Oh no!’ mettendomi le mani sulla faccia. Mi sono sentita ferita personalmente. Mi sono sentita tradita, dopo tanto tempo che ho passato in questo paese. Mi sento per la prima volta una straniera a Londra, pur avendo ormai passato più anni della mia vita qui che in Italia”.
Ornella Garofalo, neuro biologa, University College London
“Sono rimasta molto colpita, mi sento psicologicamente in crisi. Uno dei motivi per cui sono venuta a stare qui è perché siamo in Europa. E’ terribile ora pensare di essere un’estranea. Mi dispiace soprattutto per i giovani, anche per gli inglesi, che perderanno programmi come Erasmus. Chiudersi in un’isola in un’era di globalizzazione è assurdo”.
Marzia Malcangio, docente di farmacologia, King’s College
“Brexit non mi ha coinvolto più di tanto perché come europea io continuo a sentirmi cosmopolita. Mi dispiace soltanto per loro, per gli inglesi, per quello che hanno perso, ma a Londra per noi penso che non cambierà niente”.
Alessandro Gallenzi, editore, Alma Books
“Il risultato mi ha assolutamente scioccato. Ma sono più determinato che mai a continuare a lavorare per la promozione della letteratura europea in Gran Bretagna, perché amo questo paese e credo che la Gran Bretagna, storicamente e culturalmente, appartenga all’Europa e ne rappresenti il cuore. Vorrei aggiungere che si tratta di una vera e propria rivoluzione, ma è una rivoluzione pacifica e democratica e bisogna accettarla. È la logica conseguenza di un processo storico iniziato molto tempo fa – di anni e anni di mancate occasioni e di crescenti malesseri e divari non ascoltati o risolti. Non credo si possano o si debbano cercare vie traverse (petizione, nuovo referendum), perché lascerebbero altre persone deluse, creerebbero ulteriori divisioni e andrebbero contro i principi stessi della democrazia. Le cose si aggiusteranno da sole con la politica, l’economia, la finanza e la cultura. Bisogna rimanere ottimisti”.
Annamaria Anderloni, architetta, Norman Foster
“E’ ancora troppo presto per comprendere a pieno le conseguenze di un voto che cambierà il volto del Regno Unito e dell’Europa. Al di là della tristezza nel vedere la Gran Bretagna lacerata da una crisi sociale e politica senza precedenti, credo che la lettura di questo evento debba essere fatta in maniera più globale. Bisogna guardare a fenomeni sovra nazionali come l’economia mondiale che fatica a trovare margini di crescita, le ridotte sacche di produttività che attirano massicci flussi migratori, l’emergere di fasce di povertà anche tra le classi lavoratrici ed i servizi sociali nazionali messi sotto pressione. In questo contesto ciò che mi colpisce di più è il riemergere del tema dell’identità nazionale in una società iperconnessa e ageografica dove Londra è ormai più vicina a Berlino che a Bristol. Questo voto mi sembra un anacronistico tentativo di proteggere le frontiere fisiche del paese spazzate via dalla globalizzazione. E’ presto per dare un giudizio ma c’è il rischio che sia un tentativo tanto fiero quanto inutile: i singoli paesi non sembrano più in grado di fare fronte da soli ai macrotrend mondiali. Secondo me, mai come oggi abbiamo bisogno di una Europa unita con una visione e soprattutto una capacità di reazione globali”.
Alessia Affinita, fondatrice della business directory Italian Community London
“Stiamo vivendo un periodo storico in cui è più che mai importante rendere le nostre comunità all’estero più fruibili e organizzate. Gli anni di limbo ed incertezza burocratica e commerciale che ci attendono spingeranno gli italiani con mire di internazionalizzazione sul mercato inglese ad avere il bisogno e la necessità di confrontarsi e cercare punti di riferimento con realtà compatriote già radicate nel Regno Unito. Noi espatriati adesso più che mai abbiamo un valore prezioso: la missione comune per le attività italiane già avviate in Gran Bretagna dovrebbe essere quella di creare sempre più validi strumenti per la creazione di ponti commerciali tra l’Italia e l’Inghilterra”.
Giovanni Sanfelice, fondatore società di pubbliche relazioni Tancredi
“La prima impressione sull’esito del referendum non può che essere di stupore, mostrato sia da chi ha vinto che da chi ha perso. Per la prima volta la mia generazione di italiani a Londra da tanto tempo vivono in prima persona una delle più intense crisi politiche di questo paese. L’incertezza non aiuta chi ha investito in termini di tempo, studio, lavoro e denari. Ritengo che sia sbagliato abbandonarsi a nazionalismi sensazionalistici e che occore lavorare tutti insieme, portando ognuno il proprio contributo. Tutti noi italiani, francesi, tedeschi, abbiamo portato valore e abbiamo visto nel modello liberista britannico un esempio da perseguire. Mi auguro che l’Europa unita possa trovare una soluzione ma che soprattutto non dovremo un giorno dire che la Gran Bretagna ha visto lungo a essere la prima ad uscire. I mercati con cui l’Europa si confronta sono quelli cinese, nord e sud americano. C’è bisogno di una risposta unita per tornare a crescere con una politica unitaria forse più vicina alla gente”.
Annalisa Piras, regista e giornalista
“Un anno e mezzo fa ho realizzato un docufilm che iniziava con un futuro apocalittico in cui Nigel Farage riusciva ad ottenere la Brexit, innescando l’esplosione del Regno Unito e, a seguire, la totale implosione dell’Europa. ‘The Great European Disaster Movie’ era un tentativo di immaginare il peggio per cercare di scongiurarlo. Un anno e mezzo dopo, mi sono svegliata sentendomi Cassandra quando vede i soldati achei uscire dal cavallo di Troia e mettere a ferro e fuoco la città. Il cavallo di Troia in questa campagna, secondo me, è stato il sistema dei media che ha permesso la veicolazione di un’informazione distorta e disonesta tra una popolazione tra le più ignoranti d’Europa quando si tratta di Unione Europea. Lo screditamento degli esperti della Banca d’Inghilterra o dei civil servants del Ministero del Tesoro in un paese tradizionalmente cauto, moderato e rispettoso delle istituzioni, rappresenta per la tradizione britannica una rottura di proporzioni incalcolabili. Ed è un avvertimento per gli altri paesi della attuale volubilità degli elettorati. In questa situazione di sospensione della realtà, l’unico segnale vagamente positivo è la mobilitazione senza precedenti della società civile attraverso i social media. La petizione al parlamento britannico per chiedere un secondo referendum è un segno importante della consapevolezza della gravità di un voto che rischia di ipotecare il futuro delle nuove generazioni contro la loro volontà. Sta ricevendo grande sostegno anche la campagna Wake Up Europe, Svegliati Europa, che con Bill Emmott abbiamo lanciato usando il docufilm ‘The Great European Disaster movie’ come strumento per invitare al dibattito i cittadini europei. Abbiamo anche lanciato una petizione al presidente del consiglio europeo Tusk perché l’Unione risponda con azioni e non solo con parole alla prospettiva della Brexit. E abbiamo appena pubblicato un testo, What Is To Be Done?, Che fare adesso?, invitando a discutere delle possibili vie di uscita”.
Valentina Fazzari, consulente immobiliare, Casa Londra
“Abbiamo ricevuto telefonate negli ultimi giorni di persone che vedono un calo della sterlina come opportunità per il mercato immobiliare, ma certo dal lato personale è stato uno shock! L’incertezza creata dal referendum negli ultimi mesi ha avuto un forte impatto sul mercato londinese che, dopo anni di costante crescita, ha visto i prezzi delle case scendere del 10% con un calo addirittura del 40% delle compravendite da gennaio 2016. Ma cosa succederà al mercato immobiliare britannico nei prossimi mesi? A nostro avviso nel breve periodo i prezzi delle case potrebbero scendere ancora (si parla di un ulteriore 8%) e così anche la sterlina che a causa del referendum sta toccando minimi storici. Quindi non c’e’ dubbio che gli investitori stranieri cercheranno subito di sfruttare questo momento favorevole e le compravendite, soprattutto nel centro di Londra, si riprenderanno velocemente, cosi come era successo nel 2008 subito dopo la crisi finanziaria. Nel lungo periodo prevediamo che il mercato immobiliare inglese si stabilizzerà continuando a rappresentare una buona alternativa di investimento ai mercati finanziari che, come abbiamo visto in questi giorni, possono essere estremamente volatili”.
Bruno Amendola, medico specialista in medicina estetica, Private Cosmetic Clinic Harley Street
“Per me è stato uno shock e una grande sorpresa. Dopo avere lavorato e pagato le tasse per 21 anni qui ed essermi sentito europeo, provo una delusione profonda. Ho parlato con molti amici e colleghi italiani, spagnoli e francesi, tutti hanno le stesse sensazioni. Non so nemmeno se voglio un passaporto britannico o se voglio rimanere a vivere in Inghilterra. Sono molto confuso. Ho costruito qui la mia vita. È terribile”.
Phil Baglini, direttore LondonOne, la radio degli italiani a Londra
“La Brexit ha messo la parola fine ai rapporti, non proprio idilliaci, tra Gran Bretagna ed Europa. Sono a Londra da oltre 10 anni, ho sempre creduto in questo paese, e lo amo. Dalla mattina del 24 mi sento come se avessi le vertigini, una sensazione strana, come se mi mancasse qualcosa. Ho amici inglesi che hanno votato per Brexit e solo ora si sono resi conti dell’errore. Si, è stato un errore ma ce lo porteremo dietro per molto tempo. Per gli italiani che come me hanno un lavoro e da anni sono integrati, le conseguenze non sono catastrofiche, ma penso alle relazioni economiche sui mercati, alle restrizioni sui viaggi, alla fatica che faranno le imprese a ricredere in questo paese. Qualcosa di veramente grande è cambiato. Mi ha deluso questa scelta, ma continuerò a rispettare questo paese. Non lo rinnego, non lo odio, mi fa solo rabbia. Si dice sempre che la Gran Bretagna senza Europa faticherà, ma non si dice mai che anche l’Europa dovrà sudare senza la Gran Bretagna. Ai giovani che scrivono alla nostra redazione dico: non disperatevi per i vostri progetti Erasmus, o per i vostri sogni di venire a Londra, sono convinto che in altri modi sarà ancora possibile godere delle bellezze di questa nazione”.
Stefano Jossa, docente letteratura, Royal Holloway University
“I vantaggi di Brexit per gli inglesi e per gli europei: aumento dell’export inglese, diminuzione prezzi delle case, aumento del potere d’acquisto dell’euro in Gran Bretagna, ridefinizione dell’Europa su nuova base al di fuori di logiche puramente monetarie, riappropriazione popolare dei contenuti della politica, fine dell’ormai superata e totalmente fallita democrazia rappresentativa. Naturalmente è anche un disastro sul piano psicologico e culturale: vincono sentimenti di chiusura nazionalistica, rifiuto della diversità e perdita di orizzonti allargati”.
Rosa Pastena, psicologa, National Health Service
“Interessante la reazione degli europei che vivono qui. Si sentono non voluti in questo paese e stanno reagendo in modo difensivo. Bisogna stare attenti perché si rischia di creare un clima di astio e odio che può diventare pericoloso. Alcuni inglesi, di contro, si sentono in colpa e chiedono scusa. Mentre altri si sentono intitolati a smettere di essere politicamente corretti ed esprimono idee razziste”.
Ivana Bartoletti, manager sanità pubblica e attivista del Labour
“Sensazione di grande incertezza. Il paese è spaccato, demograficamente e geograficamente, e il futuro è a rischio, qui, in Europa e nel mondo. La campagna per Brexit era basata su falsità enormi, che ora stanno emergendo. Ci vogliono nervi saldi per tenere unito il paese ed evitare il contagio”.
Monica Nappo, attrice
“Questo risultato non è la vittoria di Great Britain ma di Little Britain. Ho mandato su Facebook un messaggio ai miei amici inglesi più giovani: mi sono congratulata con loro, perché per me sono diventati ufficialmente italiani, dal momento che i vecchi hanno deciso per il futuro dei giovani e del paese senza contemplarli”.
Giorgio Buttironi, funzionario Confindustria dell’Edilizia
“L’economia peggiorerà, il nuovo primo ministro convocherà elezioni anticipate, i negoziati con la Ue non partiranno per almeno sei mesi e alla fine si cercherà di mantenere in qualche modo il mercato comune e di conseguenza anche la libertà di movimento dei lavoratori, per cui mi auguro che nella sostanza cambierà poco”.