Fonte: La Repubblica
di Antonello Guerra
E il governo della premier May ammette: “Qualunque piano ci farà stare peggio”
“Potrebbe aspettarci la peggiore crisi dopo la Seconda Guerra mondiale”. Lo psicodramma della Brexit oggi ha raggiunto un’altra, paurosa vetta in Regno Unito e ha segnato un’umiliazione con pochi precedenti per tutti i predicatori dell’uscita dall’Europa. La Banca d’Inghilterra ha infatti pubblicato le stime sulle conseguenze della Brexit in caso di “no deal”, cioè “nessun accordo”, scenario che potrebbe verificarsi qualora il Parlamento britannico bocciasse il piano che May ha raggiunto faticosamente con l’Europa per trascinare Londra fuori dall’Ue. Le cifre sono apocalittiche.
In caso di “no deal”, nella peggiore delle ipotesi, l’economia britannica si contrarrà immediatamente dell’8 per cento soltanto nel 2019, secondo la Banca d’Inghilterra, e Londra perderà 10,5 punti di Pil in cinque anni. Una voragine enorme, se pensiamo che durante la devastante crisi del 2008 il Pil britannico scese “soltanto” di 6,25 punti. Non solo: la sterlina potrebbe crollare del 25 per cento (sbriciolando il suo valore già oggi ai minimi), il prezzo delle case capitolerebbe di un altro 30 per cento, mentre la disoccupazione raddoppierà. Roba che neanche la crisi di Suez. Per tornare a una catastrofe simile, ha fatto notare il governatore della Banca d’Inghilterra Carney, bisogna appunto tornare al 1945, dopo la guerra contro Hitler.
Theresa May ha incassato il durissimo colpo e lo stesso suo governo, incluso il cancelliere dello Scacchiere (cioè il ministro delle Finanze britannico) Philip Hammond, ha ammesso: qualsiasi piano di uscita, incluso quello della premier, renderà il Regno Unito più povero, rispetto a ora come membro dell’Ue. È una presa di coscienza drammatica, che fa capire lo smarrimento attuale del Paese. L’accordo di May, sempre secondo la Banca d’Inghilterra e sempre qualora passi in Parlamento, comunque eroderà il 3,9 per cento di Pil britannico nei prossimi 15 anni.
Non solo. Gli economisti dello stesso governo May oggi hanno svelato altre scomode verità: la capacità di stringere accordi commerciali con altri blocchi mondiali (una delle terre promesse dei brexiters) non porterà alcun vantaggio rispetto al mercato unico Ue; le finanze di Londra avrebbero molto più denaro in Europa; e, ultimo sonoro schiaffo ai messia dell’uscita dall’Ue, l’economia britannica sarà meno prospera senza i migranti dell’Unione Europea.
Il momento è così tragico che persino Jeremy Corbyn e il suo vice John McDonnell, i leader del Labour ultrasocialista, stamattina avevano cambiato improvvisamente idea. Forse perché erano già a conoscenza delle conclusioni dalla Banca d’Inghilterra. In un’intervista alla Bbc, McDonnell ha accantonato ufficialmente l’obiettivo laburista di andare al voto qualora May cadesse in Parlamento: “Un secondo referendum sarebbe inevitabile”. Un cambio radicale di strategia, perché fino a qualche giorno fa una nuova consultazione popolare era l’ultima soluzione. Segno che anche Corbyn ha capito di aver scherzato troppo con il fuoco. Ma adesso un secondo referendum, in questo contesto economicamente e politicamente esplosivo, potrebbe avere conseguenze ancora più sconvolgenti.