19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Emanuele Bonini

Guy Verhofstadt, presidente del gruppo Alde del Parlamento europeo: il problema è che questa Europa non funziona

Che il Regno Unito resti o che se ne vada dall’Europa cambia poco: «In ogni caso bisognerà rifondare l’Unione». Guy Verhofstadt, presidente del gruppo Alde del Parlamento europeo ed europeista di lungo corso, non ha dubbi: comunque vada dopo il referendum britannico del 23 giugno «non si potrà continuare con il “business as usual”», non si potrà andare avanti a vivere, o meglio, vivacchiare, come fatto finora. «Abbiamo sempre operato piccole riparazioni, isolate, quando andava fatta una ristrutturazione» della casa a dodici stelle. Brexit o Bremain (le due espressioni per indicare l’uscita o la permanenza di Londra nel club dei Ventotto), «il problema è che questa Europa non funziona».
Il referendum gli pare dunque «un’opportunità», spiega nel corso di un’intervista concessa a una settimana del voto britannico a un ristretto numero di giornalisti di testate europee, tra cui la Stampa. E’ l’opportunità di «riformare» una volta per tutte un modello che si è dimostrato non all’altezza della situazione, fin dalla sua nascita. «L’unione doganale, nel 1957, venne considerata una grande conquista quando in realtà derivò dall’incapacità, nel 1955, di trovare una politica comune e una politica estera e di sicurezza comune». I mali d’Europa sono questi, e vengono da lontano. Per questo dalla mattina del 24 giugno bisognerà mettersi «immediatamente» al lavoro, vada come vada. In sintesi, ecco il pensiero del leader liberale.

Brexit  
In caso di decisione di abbandonare l’Ue «sarà fondamentale» mettersi all’opera. I trattati dicono che servono due anni per stabilire e negoziare le modalità di uscita, a cui si aggiungeranno le trattative per nuove relazioni politico-commerciali. Nessuno può dire quanto lavoro porterà via tutto questo lavoro, ma «bisogna fare in fretta, altrimenti permane l’incertezza» sull’Europa. In scenari da «stay-out» per Verhofstadt sarà altresì «fondamentale» ricorrere all’interpretazione dei trattati. «Se consideriamo che l’accordo Ue-Turchia sull’immigrazione non è neanche un accordo ma una dichiarazione…», si limita a dire il leader dei liberali europei all’Eurocamera. Vuol dire che, al netto dei dubbi e delle lacune delle indicazioni giuridiche per la gestione del divorzio, «abbiamo il modo di trovare la soluzione» al problema. Ma in caso di «goodbye» britannico «la vera questione sarà geopolitica», secondo Verhofstadt. «Tutti focalizzano l’attenzione sull’aspetto economico, ma il vero impatto sarà geopolitico. Come si porrà l’Europa nei confronti della Cina, o della Russia, senza più i britannici»?

Bremain  
Anche nel caso di una decisione per restare nell’Ue «occorrerà subito mettersi al lavoro». Il fatto che comunque ci sia la conferenza dei capigruppo il giorno dopo il voto non deve lasciare tranquilli in caso di voto «pro-Europa». Verhofstadt non nasconde che «in questo caso la mia più grande paura è che tutti dimentichino la questione, e così scompare anche l’idea di riformare l’Unione». Il cambiamento sarà inevitabile, dato che in base agli accordi tra governi «bisognerà dare seguito a quanto concordato con Cameron», vale a dire creare lo status speciale del Regno Unito all’interno dell’Unione. Il Parlamento dovrà attendere le proposte della Commissione e votarle, e contribuire alla riflessione più ampia sull’Europa.

Futuro dell’Europa e lavoro del Parlamento  
«L’Ue non sarà più la stessa dopo il 23 giugno». Ecco perché il Parlamento europeo presenterà al più tardi a ottobre tre relazioni sull’architettura dell’Ue: i tre documenti riguarderanno la modifica dei trattati per l’inserimento delle richieste britanniche e la definizione dello status speciale (relazione Brok, dal nome del responsabile), una nuova governance economica e fiscale (relazione Beres), e il futuro dell’Ue (relazione Verhofstadt). «Una volta esaurito il voto si avvia il processo» di riflessione, perché quello di oggi «non è tanto un problema pratico quanto un problema esistenziale dell’Ue». Per le 8 del mattino del 24 giugno è già stata convocata la conferenza dei presidenti, per discutere del post-elezioni e il cammino da seguire.

La nuova Europa di Verhofstadt  
Così com’è l’Ue non va. «Lo sta dicendo da tempo anche il presidente della Bce. Mario Draghi: per quanto ancora dovrò continuare a fare quello sto facendo in attesa che i governi agiscano? O si cambia o l’Ue rischia di disintegrarsi». Sul futuro il presidente dell’Alde ha le idee ben chiare: servono migliore processo decisionale («l’Europa non funziona per via del principio dell’unanimità»), riduzione del numero dei commissari («ventotto sono troppi, se arriva un altro stato membro non abbiamo più portafogli da distribuire»), stop a eccezioni e deroghe («è impensabile che ogni Stato voglia i suoi “opt-out” per ogni cosa: così abbiamo ventotto diversi status»), due diversi tipi di membership («o membro a pieno titolo o membro associato con solo alcuni benefici»).

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