Fonte: La Repubblica
di Antonello Guerrera
Dopo la bocciatura dell’accordo negoziato con l’Unione europea, Westminster ha respinto la mozione di sfiducia presentata dal leader laburista Jeremy Corbyn. Decisivo il voto degli unionisti nordirlandesi
Dopo la disfatta epica di ieri sul suo accordo con l’Ue sulla Brexit (oramai sepolto), Theresa May oggi ha superato un altro voto cruciale: con 325 a 306 è stata respinta la mozione di sfiducia contro di lei, o meglio del suo governo, che il leader laburista Jeremy Corbyn ha presentato alla Camera dei Comuni. Decisivo, per la tenuta dell’esecutivo, ancora una volta il voto dei deputati del Democratic Unionist Party, i lealisti nordirlandesi, determinati a impedire che Corbyn formi un nuovo governo.
Ora che ce l’ha fatta, ricomincerà tutto daccapo, un po’ come nel Giorno della Marmotta: la premier britannica riprenderà a tessere la tela con i suoi per un nuovo, irrealistico accordo, per allontanare lo spauracchio del 29 marzo, quando il Regno Unito, senza un’uscita concordata con l’Ue, verrebbe brutalmente sbalzata fuori dall’Unione, con conseguenze economiche e commerciali potenzialmente gravissime.
Il punto è che May non ha un Piano B dopo che Boris Johnson & Co. le hanno “ammazzato” (parole loro) l’accordo raggiunto con enorme fatica con l’Europa lo scorso novembre dopo due anni di negoziati. E May non ha le caratteristiche politiche per riunire un partito dilaniato tra correnti diversissime, dai brexiters agli europeisti.
Inoltre, il nodo fondamentale del backstop (cioè una sorta di assicurazione concordata con l’Unione Europea per preservare la fluidità e l’invisibilità del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda, pilastro fondamentale della pace del Venerdi Santo nel 1998) pare tuttora irrisolvibile: i conservatori ribelli e gli unionisti nordirlandesi (che forniscono appoggio esterno a May in Parlamento) lo vogliono sradicare da un nuovo accordo, per l’Europa invece è imprescindibile.
Insomma, anche se May è rimasta a galla, lo stallo rimane esattamente lo stesso. Per questo si pensa innanzitutto a rinviare la scadenza del 29 marzo, cosa che Londra può richiedere ai 27 paesi membri Ue, i quali devono approvare. Nei corridoi europei oramai si discute realmente di questa possibilità, ma che senso avrebbe prolungare l’agonia se il Regno Unito non offrirà nulla più di quanto offerto sinora? Il capo negoziatore europeo Barnier, difatti, oggi ha ricordato che il “no deal è sempre più vicino”.
Angela Merkel esclude la possibilità di un nuovo accordo, anche se si dice possibilista sui tempi da dare alla Gran Bretagna per trovare una soluzione interna, su cui – specifica la cancelliera intervenendo oggi al Bundestag – non ci saranno pressioni europee di alcun tipo.
Non infierire su May, ma difendere gli interessi europei. È la linea anche dell’Eliseo: “Abbiamo già raggiunto il limite di quello che potevamo fare nel contesto dell’accordo. Per risolvere un problema di politica interna britannica non possiamo non difendere gli interessi degli europei”.