Fonte: La Stampa
“Le regole ci perseguitano o ci rendono felici?” In America e in Francia una serie di libri hanno sollevato il dibattito, che adesso sta arrivando anche da noi
Ma l’età neoliberale non avrebbe dovuto traghettarci in un mondo finalmente liberato dai lacci e lacciuoli di troppo (in primis quelli più insulsi)? Queste erano le premesse (e le aspettative): a quanto pare, però – esperienza quotidiana docet –, non è stato così; e una molteplicità di motivazioni inducono a parlare di un’escalation nella burocratizzazione del mondo, assai lontana dalle promesse (e illusioni) di pressoché totale orizzontalizzazione e deregolamentazione che la profezia del Villaggio globale e della Rete si portavano potenzialmente dietro.
Nel corso del tramontato Novecento alcuni intellettuali avevano profeticamente intonato i loro alti lai riguardo le gabbie d’acciaio burocratiche che avevano stretto (e almeno in parte soffocato) l’individuo dell’età delle masse. Senza bisogno di scomodare il supremo e inarrivabile Max Weber, si pensi allo statunitense James Burnham (ex trotzkista poi neo-elitista e conservatore, secondo una traiettoria paradigmatica del Secolo breve), autore nel 1941 de La rivoluzione manageriale, che evidenziava il passaggio dal “capitalismo borghese” a quello “manageriale” quale effetto innanzitutto della separazione della struttura legale del diritto di proprietà dalla gestione e – diremmo oggi – dalla governance, sulla quale si sarebbero fondati l’esistenza, la legittimità e il ruolo decisionale via via crescente della nuova classe sociale dei manager (per la quale esprimeva, però, le proprie simpatie). E, già che ci siamo, non va dimenticato un personaggio assai anomalo e irregolare, l’eretico italiano della sinistra Bruno Rizzi (1901-1977), che nel ‘39 pubblicò a Parigi il libro La Bureaucratisation du monde, nel quale – pure lui un trotzkista, ma condannato da Trotzky (gli anatemi e le scomuniche nel movimento internazionalista comunista, si sa, piovevano a catinelle) – descriveva l’ascesa di una nuova classe dirigente in Urss, la burocrazia, e l’instaurazione del suo dominio che corrompeva la visione marxista della società.
L’ultima tappa di questa riflessione-denuncia sulla strisciante e irresistibile burocratizzazione delle nostre esistenze arriva giusto ora, e svela una realtà insospettabile. Almeno stando a quello che afferma David Graeber in un libro che ha avuto un grande successo in America e in Francia che uscirà nei prossimi giorni in Italia col titolo “Burocrazia. Perché le regole ci perseguitano e perché ci rendono felici” (Il Mulino) . Graeber è un antropologo statunitense (e un militante anarchico), tra gli “ideologi” principali di Occupy Wall Street, e insegna attualmente alla London School of Economics. La globalizzazione neoliberista rappresenterebbe il trionfo del “feticismo” del documento e delle carte, a cui la digitalizzazione non ha apportato alcuna semplificazione benefica (visto che i passaggi, anche se smaterializzati, si sono moltiplicati). Insomma, ben altro che regno delle libertà individuali e dell’intraprendere, l’epoca neoliberale celebrerebbe il trionfo dei vincoli amministrativi, ammantati di una nuova dimensione ideologica (e, in questa polemica anti-burocratica, in effetti, Graeber esprime molto lo spirito americano). Man mano che l’economia e i mercati hanno esponenzialmente accresciuto la loro complessità, unificando il globo sotto la loro egida, sono aumentate norme e regolamentazioni. La ragione, in seno a un neoliberismo ossessionato dalla cultura dell’audit e della valutazione della performance, consisterebbe nel fatto che il valore non scaturisce più dal lavoro fisico e materiale (come nel capitalismo manifatturiero), ma dall’immaterialità (del capitale, della finanza, dell’informazione), nel nome di quello spirito pantocratore dell’imprenditore e di quella mitopoiesi dello sviluppo personale glorificati, a partire dagli anni Settanta, dal connubio tra ideologia manageriale e un certo pensiero libertario. Il valore dell’individuo, dalle multinazionali alle università, va così certificato mediante un documento frutto di un’inarrestabile e autopoietica proceduralizzazione.
Una Weltanschauung che viene divulgata anche attraverso la cultura pop, dove dilagano, messi sotto una luce positiva, gli eroi del neo-ordinamento burocratico: dai commissari di polizia alle spie, dagli investigatori privati a Batman che fa vincere l’utopia delle regole nel caos angoscioso di Gotham City. Generando l’opposizione del filone fantasy, che sogna un Medioevo fantastico e un universo sburocratizzato, fino a che l’invincibile spinta propulsiva (e normalizzatrice) della mania normativa non prevale di nuovo, come nelle dettagliatissime regole di svariati giochi di ruolo di grande successo stile Dungeons & Dragons. E, allora, alla burocratizzazione pare non esserci scampo: e così oggi, secondo Graeber, per alimentare il neoliberismo «servono mille volte più carte di quanto ne occorressero nella monarchia assoluta di Luigi XIV».