ESTERI
Fonte: La Stampa
Il superstite dei commando in fuga, forse verso l’Italia. Identificati i kamikaze: alcuni addestrati in Siria
Adesso bisogna prendere l’ottavo uomo. L’Isis l’aveva detto, rivendicando l’attentato, che i «fratelli» erano otto. Sei si sono fatti esplodere, uno è stato eliminato dalla polizia, resta l’ultimo. Da ieri si sa che faccia ha e come si chiama: Abdelslam Salah. È francese ma nato a Bruxelles, ha 26 anni e due fratelli. Uno, Ibrahim, ha partecipato al blitz al comptoir Voltaire, dove si è fatto saltare; l’altro vive in Belgio, è in stato di fermo ma per ora non è chiaro se sia un complice. Abdelslam era stato identificato a Cambrai alle otto del mattino di sabato, mentre passava in macchina con altre due persone la frontiera con il Belgio: segnalato perché schedato, l’avevano fatto passare pochi minuti prima che scattasse l’allarme (ora potrebbe essere in fuga verso l’Italia). Sono i due fratelli Salah che hanno noleggiato a Bruxelles le automobili, una Seat e una Polo, entrambe nere, usate per gli attacchi a Parigi. La Seat, con tre kalashnikov a bordo, è stata ritrovata a Montreuil, nella regione di Parigi.
Identificati altri tre kamikaze: Ahmad al Mohammad, il presunto siriano entrato in Europa da rifugiato, e Bilal Hadfi, che viveva in Belgio, nel «jihadistan» europeo. Il terzo si chiamava Ismail Omar Mostefai e si è fatto esplodere al Bataclan. Fra i resti, un dito: è bastato per identificarlo, perché l’uomo era schedato dal 2010, categoria «S» come «Sûreté de l’État», sicurezza dello Stato. L’ennesimo jihadista noto ai servizi, insomma.
Origini algerine
Di Mostefai si può anche ricostruire la storia. Avrebbe compiuto trent’anni sabato prossimo. Origini algerine, era nato a Courcouronnes, sobborgo di Evry, a 27 chilometri da Parigi: non una banlieue devastata, ma un dignitoso paesino residenziale. Cinque fra fratelli e sorelle, fermati e interrogati insieme ai genitori: nessuno sa nulla. A Courcouronnes, Mostefai ha fatto le elementari, le medie e un po’ di superiori, abbandonando il liceo «Georges Brassens» dopo una bocciatura.
La sua storia riprende a Chartres, 40 mila abitanti e la più bella cattedrale gotica di Francia a 90 chilometri da Parigi. Lì ha vissuto fino al 2012, con la moglie e la figlia, nel quartiere della Madeleine: anche qui, non i soliti palazzoni malandati da periferia senza speranza, ma delle dignitose villette a schiera. Lui abitava al 25 di rue Anatole France. Cosa facesse per vivere, mistero: «Lavoretti temporanei, ma di preciso non sappiamo», raccontano i vicini. Probabilmente, spacciava. Di certo, aveva avuto diversi guai con la giustizia. Bilancio: otto condanne in sei anni, dal 2004 al 2010, quando gli nacque la figlia e «si dette una calmata». Piccoli reati, in ogni caso: oltraggio, guida senza patente, resistenza. Ma Mostefai non è mai finito in carcere, e questa è una stranezza, perché in questi anni in Francia è sempre stata la galera la grande incubatrice degli jihadisti.
Perfetto anonimo
Mostefai era discretissimo. Religioso? «Sì, ma senza fanatismi. In moschea al venerdì, e basta», racconta un vicino. Anche il look era tutt’altro che connotato: «Portava i capelli lunghi, una barbetta corta, ed era sempre in scarpe da ginnastica e cappellino». Nessuna frequentazione sospetta, niente visite a ore strane: il perfetto anonimo. Come si sia radicalizzato, tanto da suscitare l’interesse dei servizi, lo racconta il giornale locale, «L’Echo républicain». Sarebbe stato fatale l’incontro con un predicatore itinerante, un marocchino venuto a fare proselitismo nella zona dal Belgio, ed è l’ennesima traccia che porta lì.
Alla moschea di Lucé, quella frequentata da Mostefai, cadono dalle nuvole come tutti gli altri: «Non lo ricordiamo». L’imam, però, è lì solo dal 2013. Ma, parlando sulla soglia della moschea, che è poi una normalissima villetta con una scritta in arabo sulla facciata, uno dello staff ammette che sì, ogni tanto qualcuno viene a predicare da fuori.
Nel 2012 Mostefai sparisce insieme alla famiglia. Dice ai familiari di essersi trasferito in Algeria. L’anno seguente, è sicuramente passato dalla Turchia e il sospetto, che è quasi una certezza, è che da lì sia andato a combattere con l’Isis in Siria, anche perché da qualche parte deve aver acquisito quell’addestramento militare e quella calma professionale su cui concordano tutti i sopravvissuti. Si è fatto esplodere dopo aver gridato «Allah akbar».