19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Andrea Carugati

Il ministro dello Sviluppo alla presentazione del saggio di Enrico Giovannini critica la sinistra: «È morta perché non ha saputo dare un messaggio di comprensione della realtà»

«Non è più il tempo delle leadership che hanno tutto chiaro, basta spot, per farsi capire serve un linguaggio dubitativo». A pochi giorni dalla sua iscrizione al Pd Carlo Calenda cala il sipario sulla Terza Via di Blair e Clinton, sulla stagione dei leader di sinistra che hanno proiettato un’immagine troppo positiva della globalizzazione: «A risentire oggi i discorsi di Blair e Clinton sembrano spot delle patatine, noi li abbiamo idolatrati, è stato un errore. Il problema non è Renzi, sono 25 anni di errori».
Il ministro dello Sviluppo parla davanti a un cenacolo ristretto ospitato dall’editore Giuseppe Laterza nella sua sede romana, in occasione della presentazione del saggio dell’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini «L’utopia sostenibile». Con lui sul palco Romano Prodi, in platea Giuliano Amato, Ignazio Visco, Monica Maggioni, Luciano Canfora, Eugenio Scalfari, Giovanna Melandri, Luigi Abete, la presidente di Enel Patrizia Grieco, il direttore de La Stampa Maurizio Molinari.
Calenda dice che è «ora che il Pd torni a confrontarsi con gli intellettuali», e ragiona sugli errori che hanno portato alla «fucilata» del 4 marzo: «La sinistra è morta perché ha dato un messaggio motivazionale, invece che di spiegazione e comprensione della realtà. Se parli con le tesi di Alesina e Giavazzi, e cioè che bisogna difendere il lavoro e non il posto di lavoro, un operaio del tornio prende il fucile e spara. È quello che è successo nelle urne il 4 marzo».
Calenda parla di «rifondazione» del Pd. «Il suo ruolo è fondamentale per il futuro, ma non nello stato in cui versa adesso. In questi anni ci sono stati tanti che hanno criticato il Pd, alcuni professionisti della critica come Massimo Cacciari, ma ora è il momento di ricostruire». «Investimenti e protezione», le parole d’ordine di Calenda, «mentre si immagina il futuro bisogna garantire la stabilità della struttura economica e sociale, gestire una lunga e convulsa fase di transizione. La cultura della complessità è il linguaggio che gli elettori vogliono sentire, gli operai sono i primi interessati a capire la modernità». Il ministro critica il Jobs Act: «L’errore non è stato togliere l’articolo 18, ma indebolire gli ammortizzatori sociali».
Prodi si tiene più alla larga dal campo martoriato del centrosinistra. Parlando con alcuni presenti analizza l’evoluzione del M5S: «Sono passati da voler aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno allo spirito di adattamento, sopravvive solo chi si adatta all’ambiente». Il Professore non dà una valutazione su questa svolta. Si limita ad osservarla. E a richiamare un suo vecchio cavallo di battaglia: «C’è in varie parti del mondo una pulsione verso leadership autoritarie. Io credo che per ricomporre la democrazia servano leggi maggioritarie. Non c’è dubbio che lo stallo della politica italiana derivi dalla mancanza di una legge elettorale di questo tipo, vedrete che ci arriverà anche la Germania…».
Prodi non nasconde un certo pessimismo su questa fase. E alla battuta del governatore di Bankitalia Visco sul rischio di un eccesso di cattivi pensieri, risponde con una battuta: «Mi sa che invece non siamo sufficientemente pessimisti». Scalfari lo incalza: «C’è ancora bisogno di te e della tua tenda». Ma il fondatore dell’Ulivo corre verso il suo treno per Bologna.

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