Il Piano nazionale di ripresa e resilienza può essere cambiato ma non stravolto
Caro direttore, aggiornare i contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza non è e non deve diventare un tabù. Questo, però, purché si rispettino alcune condizioni fondamentali. Un piano di così grande portata e di durata pluriennale, non può, per sua natura, essere rigido e immodificabile. Ed è quanto lo stesso regolamento istitutivo correttamente ha previsto, legando ovviamente le modifiche al verificarsi di situazioni eccezionali. Nessuno, a Roma o a Bruxelles, può o potrebbe negare che l’invasione russa dell’Ucraina e il conseguente aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, costituiscono circostanze eccezionali e imprevedibili, che hanno una rilevantissima influenza sull’economia dell’intero Continente e, quindi, sui Piani nazionali. Dobbiamo inoltre ammettere che il piano italiano è stato scritto, comprensibilmente, in tempi estremamente rapidi, inserendovi investimenti non caratterizzati dallo stesso livello di priorità. In tanti casi, le amministrazioni hanno letteralmente tirato fuori dai cassetti progetti che da tempo vi erano stati dimenticati, a volte con l’obiettivo di raggiungere i miliardi promessi, piuttosto che con la reale convinzione che l’opera proposta fosse davvero la più urgente e importante.
Ma c’è di più. L’idea stessa di realizzare un numero tanto elevato di investimenti, in un tempo relativamente breve — e certamente brevissimo, per quello che sono gli standard di spesa italiani — costituisce già di per sé una fonte di criticità. Per tale ragione, non solo nella relazione presentata al Parlamento nel luglio scorso, ma addirittura in quella dell’anno precedente, avevamo segnalato che la concentrazione di tanti lavori e contratti pubblici avrebbe comportato un aumento dei costi sia con riferimento alla manodopera, che alle materie prime. Purtroppo, siamo stati facili profeti. Se, dunque, il Piano può essere modificato, tuttavia, per farlo occorre rispettare alcune condizioni molto precise:
1) La rinegoziazione deve avvenire attraverso un dialogo aperto e trasparente con la Commissione europea, e con l’ovvio pieno accordo della stessa. Inoltre, sperabilmente in un quadro di condivisione con le principali forze politiche, indipendentemente da chi sarà al governo dopo le elezioni: su questi temi, a Bruxelles occorre parlare con una voce sola.
2) Le modifiche proposte devono rappresentare un adeguamento del piano, non un suo stravolgimento, che d’altra parte violerebbe lo stesso regolamento istitutivo, oltre a trovare la comprensibile opposizione degli altri Paesi membri, che hanno scommesso sull’Italia più che su loro stessi.
3) Le stesse modifiche devono riguardare gli investimenti, non il contenuto sostanziale delle riforme, che costituiscono l’altra fondamentale componente del Piano. Le riforme sono indispensabili all’Italia da ben prima che «ce le chiedesse l’Europa»: non devono essere cambiate, ma, semmai, accelerate. E questo, non solo perché ben difficilmente la stessa Commissione europea, accetterebbe una loro revisione. Di più: se un rilievo deve essere fatto alla impostazione generale del piano, questo sta proprio nel fatto che lo stesso prevede parallelamente l’approvazione delle riforme e la realizzazione degli investimenti, quando, invece, in molti casi, le riforme costituiscono un presupposto per la realizzazione corretta e tempestiva degli investimenti: basti pensare alla riforma del codice dei contratti pubblici, e al fatto che moltissimi degli investimenti passano, appunto, attraverso le regole dello stesso codice da riformare.
4) Anche al fine di ottenere il consenso necessario, in sede europea e nazionale, la chiave di volta dovrebbe essere non tanto quella della riscrittura del piano (i suoi contenuti rispecchiano davvero quanto serve all’Italia per proiettarsi nel futuro), quanto quella della sua riprogrammazione temporale. Ricalendarizzando la realizzazione di alcuni investimenti (e tenendo ferme le scadenze per l’approvazione delle riforme), non soltanto si fornirebbero alla Commissione Ue traguardi realistici e davvero perseguibili dal nostro Paese (e poi davvero immodificabili!), ma si eviterebbe anche la strozzatura, derivante dalla necessità di realizzarli tutti contemporaneamente, con conseguente concorrenza delle imprese e della stessa pubblica amministrazione, nell‘accaparrarsi le risorse scarse disponibili.
E ciò vale non solo per i beni materiali: oltre all’energia e alle materie prime, si pensi solo alla difficoltà di trovare ponteggi e impalcature per i lavori edili, data la contemporanea domanda per i bonus per l’edilizia privata. Ma — anche e soprattutto — per le risorse umane, che vengono contese da soggetti pubblici e privati con il rischio, non tanto di pagarle troppo, quanto — e tale pericolo riguarda soprattutto la pubblica amministrazione, in considerazione della sua maggiore rigidità — di assumere persone non pienamente adeguate, affidando loro i progetti più importanti per il futuro del nostro Paese.