Fonte: Sole 24 Ore
di Emilia Patta
La fase 2 sposta lo scontro sul terreno più squisitamente politico delle elezioni amministrative che avrebbero dovuto tenersi questa primavera e che invece sono state spostate per via del lockdown a dopo agosto
egioni da una parte, Stato e Governo dall’altra. Se la gestione della pandemia ha visto andare in scena il braccio di ferro tra potere centrale e potere locale sulle chiusure e le riaperture, con ordinanze e dpcm in ordine sparso, la fase 2 sposta lo scontro sul terreno più squisitamente politico delle elezioni amministrative che avrebbero dovuto tenersi questa primavera e che invece sono state spostate per via del lockdown a dopo agosto.
E questa volta la contrapposizione centro-periferia attraversa la contrapposizione abituale tra maggioranza e opposizione: da una parte i governatori (in particolare Giovanni Toti della Liguria e Luca Zaia del Veneto, rispettivamente ex Forza Italia e Lega, assieme ai colleghi democratici Vincenzo De Luca della Campania e Michele Emiliano della Puglia) che vogliono sfruttare la popolarità acquisita durante l’emergenza votando il prima possibile, e dunque almeno il 6 settembre; dall’altra i partiti “romani”, dal M5s a tutto il centrodestra, che vogliono ritardare l’appuntamento con le urne locali e indicano la data del 27 settembre come prima utile
Le motivazioni dei leader nazionali sono diverse ma combaciano nell’obiettivo: i pentastellati e i democratici non sono ancora pronti per alleanze che consolidino a livello locale l’”esperimento” giallo-rosso (l’unica interlocuzione avanzata è in Liguria), mentre Matteo Salvini vuole ritardare il più possibile l’”incoronazione” del suo competitor interno Zaia.
Fatto sta che questa volta il Governo, e in particolare la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che nei giorni scorsi ha cercato una soluzione da inserire nel decreto sullo slittamento all’esame della Camera, si è trovata in mezzo. Con la conseguenza che alla fine resterà la data indicata del 20 settembre per l’election day (elezioni in circa mille comuni e referendum confermativo sulla riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari). Starà insomma ai governatori decidere se adeguarsi o fissare le elezioni alla prima data utile (il 6 settembre appunto, visto che il decreto proroga la decadenza dei consigli regionali a tutto agosto), spiegano fonti del Viminale: «In questo modo si scontentano un po’ tutti, diversamente si scontenta solo qualcuno».
Sintetizza il deputato del Pd Stefano Ceccanti: «Ovviamente tutti auspichiamo la quadratura del cerchio, una data condivisa per l’election day. Ma al momento c’è un problema oggettivo che rende diffcile muoversi dal testo arrivato in Aula».
La Camera deciderà l’8 giugno. Ma in ogni caso i tempi per gli accordi politici stringono: al più tardi a metà agosto vanno presentate le liste. Da qui l’appello agli alleati pentastellati del capodelegazione dem al Governo Dario Franceschini: «È da molto tempo che sostengo che l’intesa di governo tra il Pd e il M5s debba sfociare in un’alleanza permanente. Naturalmente le decisioni non devono essere calate dall’alto e vanno prese caso per caso, ma la prospettiva è quella». Se a questo punto De Luca ed Emiliano sono “intoccabii”, così come è blindata la candidatura per il centrosinistra di Eugenio Giani in Toscana, un’intesa oltre che in Liguria può essere trovata anche in Veneto e nelle Marche. E se non sarà matura un’intesa, sperano dal Pd, che sia almeno possibile una sorta di “desistenza” da parte del M5s per fermare la destra salviniana.