19 Settembre 2024

Gli impegni per il 2024: la qualità dell’aria e del clima è mutata e occorre immaginare processi di produzione circolari

Tra i buoni propositi del nuovo anno dobbiamo inserire la realizzazione del capitalismo sostenibile, ovvero un modo di fare mercato e impresa che rispetti ambiente, società e inclusione dei portatori di interesse societari (E.S.G., come richiama l’acronimo inglese). E per farlo, occorre che tutti noi, individualmente, in qualità di cittadini, consumatori, lavoratori e imprenditori, lo vogliamo.
Da più di vent’anni in accademia si parla di capitalismo sostenibile, ma nella pratica sembra ci siano sempre scuse per non avanzare lungo la strada segnata irreversibilmente nell’ormai lontano 2015 dagli obiettivi 2030 delle Nazioni Unite. Prima il lockdown da Covid 19 blocca i tentativi pioneristici di diversi capi azienda di dotarsi di un’attenzione maggiore alla sostenibilità ambientale e sociale – si parlava in proposito di ambire ad avere uno scopo aziendale («purpose») che andasse oltre al semplice profitto. Poi è l’entrata in scena dell’invasione dell’Ucraina a far constatare che il re dell’energia è nudo, portando così a ridefinire gli obiettivi ambiziosi su emissioni di CO2 inclusi quelli legati alla macchina che ha cambiato il mondo, l’automobile. Da ultimo, il nemico numero uno delle banche centrali, la famigerata inflazione, che fa perdere potere di acquisto e ci rende tutti più poveri, e cambia l’agenda politica in Italia e in Europa.
Che fare quindi? Partiamo anzitutto dal chiarire un punto fondamentale: nella locuzione capitalismo sostenibile la parola centrale è «capitalismo». Non si tratta infatti di mettere in dubbio il fondamentale motore dell’economia di mercato, l’impresa, né di discutere il profitto, ovvero il guadagno che si trae dalla differenza tra ricavi e costi come strumento di misurazione del successo. Il tema è quello di rendere coerente questa fondamentale innovazione che ha cambiato l’evoluzione di Sapiens dal tardo Settecento ad oggi con i tempi che stiamo vivendo, grazie all’esperienza vissuta nell’arco delle quattro rivoluzioni industriali. L’aggettivo «sostenibile» sta proprio a significare che il capitalismo, da solo, non riesce più a reggersi sulle sue gambe. Nel produrre e nel consumare occorre prestare attenzione all’ambiente, visto che da quando è nata la fabbrica industriale la qualità dell’aria e del clima è mutata sostanzialmente e occorre immaginare processi di produzione non più lineari, ma circolari (E di environment). È anche fondamentale non scordarsi che la società è cambiata. Il mondo globale ci avvicina e ci fa scoprire che, nonostante tutto, il colore della pelle, dei gusti, dei sogni che nutriamo, non è così dissimile e anzi si può imparare dalla tradizione di culture lontane una piacevole diversità. Per non parlare poi della constatazione che la nostra diversità biologica non è scolpita sulla pietra delle opportunità sociali e dobbiamo tutti poter realizzarci e scalare la piramide di Maslow (S di sociale). Da ultimo, la storia ci ha insegnato che il profitto è stato a volte conseguito a scapito di lavoratori, consumatori e territori, ed è quindi fondamentale aggiornare la nostra capacità di produrlo con una attenzione a tutti i portatori di interesse dell’iniziativa imprenditoriale (G di governance).
Ma innovare per realizzare il capitalismo sostenibile costa e il costo dell’innovazione è sulle spalle di chi lo avvia. Quindi procrastiniamo le decisioni che servono e aspettiamo che altri decidano per noi. Come sta succedendo in positivo nel caso dell’Europa che ha avviato una regolamentazione importante sulla rendicontazione delle pratiche ESG per le aziende quotate, che inciderà anche sui loro tanti fornitori anche di medio-piccola dimensione. O attendiamo grandi negoziazioni a livello globale, visto che i fautori principali dell’inquinamento industriale non sono certo né italiani né europei. Ma così facendo spostiamo semplicemente il problema, come emerso dalle complesse trattative della COP28 che allungano al 2050 l’obiettivo di emissioni zero nonostante lo sforzo titanico di John Kerry, inviato speciale del presidente americano, contro stati che fanno emergere un populismo di breve termine e grandi potenze come Cina e India.
Ecco, quindi, che torna il tema a livello micro e ricade non sugli altri, ma su tutti noi. Anziché procrastinare o pensare che siano gli altri a decidere, cominciamo noi con i nostri comportamenti individuali a volerlo. Del resto, in economia il «macro» è la combinazione del «micro» e quanto faremo a livello microeconomico renderà anche il nostro Paese competitivo nel lungo termine per aver anticipato quanto altri faranno in futuro.
Partiamo dai nostri figli, la generazione Z e Alfa, che si comporta in modo sostenibile e ricordiamoci, per citare una classica hit amata dai boomer, che è inutile rimandare perché tanto «gli altri siamo noi». Solo così potremo definitivamente avviare un percorso indipendentemente da quanto la politica locale e globale vorrà e riuscirà a fare nei prossimi mesi.

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