Secondo la Costituzione vanno incoraggiati e sempre più praticati quegli istituti che tendono a riparazione e riconciliazione: agevolare al condannato il non facile inserimento nella società
L’alternativa è semplice: pensiamo che la Costituzione debba essere osservata e attuata anche nelle sue ultime implicazioni o riteniamo invece che essa sia soltanto una raccolta ed una esposizione di ottimi propositi e di buone intenzioni che lasciano peraltro il tempo che trovano? La risposta è – o dovrebbe essere – assolutamente ovvia e, se è così, tutte le volte in cui ci si imbatte con il «problema penale» il pensiero dovrebbe correre immediatamente alla Costituzione che a tale problema dedica disposizioni assai significative e dalle quali non si può prescindere qualunque sia il profilo del problema oggetto di attenzione.
Ora, è fin troppo evidente che una visita alle carceri italiane evoca immediatamente il tema della pena e pone interrogativi che proprio nella Costituzione trovano – o dovrebbero trovare – chiare risposte. Apprendiamo così dalla Costituzione innanzitutto che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Anche se il soggetto detenuto ha violato la legge, egli continua ad essere un uomo e non può essergli sottratta quella dignità che deve essere sempre riconosciuta ad un essere umano proprio soltanto perché egli è un uomo.
È appena il caso di osservare che trattamenti contrari al senso di umanità non sono ovviamente soltanto quei trattamenti consistenti nella inflizione di sanzioni fisiche e che sono contrari invece al senso di umanità tutti quei trattamenti che comportino la negazione della qualità umana di cui è portatore qualsiasi soggetto, qualunque sia il reato che egli ha commesso.
Se teniamo presente questo ovvio principio non possiamo certamente dire che l’attuale sistema sanzionatorio, fondato sulla detenzione quale sanzione tipica, rispetti il dettato costituzionale. A prescindere dal rilievo di molte altre criticità basterebbe pensare al più volte denunciato sovraffollamento delle carceri per dover concludere desolatamente che siamo ben lontani da trattamenti rispettosi del senso di umanità: celle che contengono numerosi detenuti costretti a vivere a contatto di gomito; serie di letti a castello; servizi igienici ridotti ed incapaci di garantire un minimo di riservatezza sono situazioni assai diffuse e che rendono indubbiamente disumana la espiazione della pena.
Il problema non può essere risolto attraverso indulti, riduzioni di pena e quant’altro. Soluzioni del genere possono avere una «giustificazione» eccezionale, ma non risolvono ovviamente il problema che tornerebbe a riproporsi immediatamente.
Il problema va affrontato radicalmente pensando alla realizzazione di carceri efficienti. Piange il cuore all’idea di dover spendere il denaro per la costruzione di carceri anziché di scuole o di ospedali, ma il problema c’è e deve essere affrontato con criteri di priorità.
La Costituzione ci rammenta anche che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
Ovviamente le criticità sopra descritte rendono difficile realizzare tale proposito e quindi anche sotto questo profilo il problema della sanzione penale e della sua esecuzione si ripropone con estrema urgenza.
Sotto questo secondo profilo, comunque, vanno incoraggiati e sempre più praticati quegli istituti che tendono alla riparazione ed alla riconciliazione: patteggiamenti, concordati, ammissione alla prova, sono strumenti che potrebbero soddisfare l’esigenza di agevolare al condannato il non facile inserimento nella società dopo l’espiazione della pena. Si tratta come ognuno vede di fissare delle priorità e di avere il coraggio di operare scelte conformi alle indicazioni provenienti dalla nostra Costituzione.