22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Marco Bresolin


A Bruxelles parlano di «telefoni roventi» tra le principali capitali europee. Ma fino a ieri sera una soluzione per permettere l’attracco in un porto sicuro ai 49 migranti che si trovano a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye, bloccate al largo delle coste maltesi, non era stata ancora trovata. Il lavoro diplomatico coordinato dalla Commissione europea, che coinvolge una decina di Stati membri, continua a scontrarsi con il rimpallo delle responsabilità e con disponibilità di accoglienza «ancora molto limitate». In questo senso sarebbe stata ritenuta «insufficiente» la proposta avanzata dal premier Giuseppe Conte di accogliere solo 15 migranti.
Il punto è che non si tratta di trovare una soluzione soltanto per i 49 che si trovano a bordo delle due imbarcazioni: i migranti da ridistribuire sarebbero più di seicento. Perché da un lato c’è Malta che vuole ripartire anche dei 249 già accolti nei giorni scorsi. Ma dall’altro c’è la Spagna, che dieci giorni fa ha fatto sbarcare nel porto di Algeciras i 310 profughi salvati dalla nave Open Arms, dopo che questa era stata respinta da Malta e Italia (del gruppo fanno parte anche 139 minori). Per questo anche Madrid chiede un sostegno. Da Berlino arriva l’appello per «una soluzione europea»: i governi francese, olandese, portoghese si sono già fatti avanti e altri hanno offerto la loro disponibilità nelle ultime ore (tra cui Lussemburgo e Romania). Ma la parola fine ancora non c’è.
Ieri la Commissione ha sollevato il problema a Bruxelles, durante la prima riunione dell’anno tra gli ambasciatori dei Paesi Ue. Probabilmente una via d’uscita per quest’ultimo caso verrà trovata presto, però l’esecutivo Ue ha ribadito che una situazione simile non è più sostenibile: non si possono trovare ogni volta soluzioni ad hoc – questo è il messaggio -, servono meccanismi stabili per gestire gli sbarchi in modo prevedibile. Lo stesso che si diceva durante l’estate scorsa, quando era stata avanzata l’idea dei centri controllati in cui effettuare le registrazioni dei richiedenti asilo e da cui gestire le redistribuzioni. Nessun Paese, però, è disposto ad aprirli sul proprio territorio.

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