20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Elisabetta Rosaspina

Il deposto presidente della Generalitat s’è detto disposto a rispondere ai magistrati, ma solo in videoconferenza. Rischia di essere oggetto di un mandato d’arresto internazionale (che imbarazzerebbe molto Bruxelles, dove s’è rifugiato)


Da presidente in esilio a presidente latitante: il passo rischia di essere molto breve, in queste ore, per Carles Puigdemont, capo del governo destituito della Catalogna, atteso dalla giudice dell’Audiencia Nacional, Carmen Lamela, a Madrid, ma ormai a 1.500 chilometri di distanza, in «un luogo sicuro», per usare le parole del suo entourage, a Bruxelles o dintorni. Il suo avvocato, il belga Paul Bekaert, ha fatto sapere che il suo cliente è disponibile a rispondere alle domande del giudice per video conferenza, oppure tramite la polizia belga. Ma è difficile che la magistratura spagnola gli accordi questa possibilità. Con Puigdemont, mancheranno quasi certamente all’appello in aula anche quattro dei suoi ex ministri, riparati con lui in Belgio, mentre gli altri ex membri della Generalitat, con la presidente del disciolto Parlament, Carme Forcadell, e i cinque componenti della presidenza sono partiti in serata da Barcellona in direzione della capitale, per presentarsi puntualmente alle 9 alla convocazione dell’Audiencia Nacional o del Tribunale Supremo (competente per i vertici parlamentari ancora formalmente in carica).

Verso la richiesta d’arresto
Non è stato un viaggio facile per le autorità politiche dell’indipendentismo catalano che, forse con qualche eccezione (come l’ex consigliere Santi Vila, che si è dimesso dal dicastero dell’Industria prima che fosse votata la dichiarazione unilaterale d’indipendenza), potrebbero non essere di ritorno stasera o domani a Barcellona, al termine degli interrogatori. La Procura sembra intenzionata a chiedere misure cautelari, e l’espatrio di Puigdemont e altri indagati fornirà solidi argomenti all’accusa per addurre il pericolo di fuga dei rimanenti e ottenerne la detenzione.

«Resta il nostro presidente»
Del resto Oriol Junqueras, il vice presidente dell’autoproclamata Repubblica indipendente di Catalogna, non pare intenzionato a minimizzare con la giudice Lamela il proprio ruolo in quello che, per il governo centrale, è stato più o meno un «golpe» e che, per il codice penale spagnolo può configurare addirittura il reato di ribellione o, quanto meno, di sedizione. Junqueras ha infatti firmato ieri sul «New York Times» un articolo per ribadire l’indipendenza della Catalogna: «Non conta quel che dice Madrid: Carles Puigdemont e Carme Forcadell continuano a essere il presidente della Generalitat e del nostro Parlamento, fino al giorno in cui i nostri cittadini decideranno il contrario attraverso libere elezioni».

Il «comitato d’accoglienza»
Non è stato un viaggio facile, e non soltanto per le incognite che pesano sul ritorno: sia alla partenza, dalla stazione di Sants a Barcellona, come all’arrivo alla stazione di Atocha, a Madrid, i convocati che hanno scelto il treno hanno trovato, oltre a un muro di telecamere, anche un poco amichevole comitato d’accoglienza, con bandiere spagnole, grida e insulti. Ai quali si sono contrapposti gruppi di indipendentisti non meno scalmanati, finché non è intervenuta la polizia a sciogliere la mischia. Junqueras e Forcadell hanno preferito un viaggio più lungo, ma più tranquillo, in auto.

Il ruolo di Bruxelles
Ad accompagnarli, è arrivato il comunicato ufficiale del loro capo a Bruxelles che dettaglia la strategia del «governo legittimo di Catalogna»: una parte, assieme alla presidenza del parlamento, si presenta ai giudici per «denunciare la mancanza di garanzie del sistema giudiziario spagnolo», e l’altra parte resta a Bruxelles per «denunciare davanti alla comunità internazionale un processo politico». Il governo belga non sembra entusiasta di essere stato coinvolto in una possibile contesa con quello spagnolo e ha ostentato distacco dalla situazione di Puigdemont, senza accordargli contatti né incontri (almeno ufficiali). Dovesse arrivare (come probabile) dai giudici di Madrid un mandato di arresto europeo, la questione sarebbe rimessa alla giustizia di Bruxelles che valuterà se i reati che gli sono contestati esistono anche nel codice penale belga e deciderà di conseguenza se concedere o no l’estradizione.

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