Fonte: Corriere della Sera
di Aldo Cazzullo
Oggi la Catalogna vota, e il risultato resta incerto. Ma un verdetto è già chiaro: la secessione è fallita. Il sogno, o l’incubo, di dividere uno degli Stati più antichi al mondo è stato vanificato. Sia che gli indipendentisti raggiungano una striminzita maggioranza, sia che prevalgano i partiti favorevoli — con sfumature molto diverse — all’unità nazionale, la Catalogna non diventerà una Repubblica indipendente. Ma il prezzo da pagare a questa avventura sarà alto. Sia per i vinti, sia per i vincitori. Per questo occorre fare in modo che la dolorosa lezione di Barcellona sia utile a tutti gli europei.
C’è stato un momento, dopo la vittoria di Brexit, in cui è parso che la storia potesse invertire il proprio corso: fine dell’Europa, crollo dell’assetto politico, rivolta planetaria contro il sistema. Non è andata così. Le spinte centrifughe, rivolte a sovvertire le istituzioni internazionali e financo gli Stati sovrani, sono ancora forti, ma non hanno prevalso. Questo non significa che si possa fare come se nulla fosse accaduto. Al contrario, è il tempo di chiedersi come si sia arrivati così vicini al baratro, e come si possa dare alle tensioni una risposta che non siano soltanto i manganelli di Rajoy, il rigore contabile della Merkel, la tecnocrazia degli apparati.
Il caso di Barcellona è esemplare, e può insegnare molto anche a noi. La città in questi anni aveva creato il mito di se stessa. Con la fine della dittatura e il successo dell’Olimpiade del 1992, è diventata il posto dove andare, dove esserci, dove farsi vedere.
Ogni nome suonava: Messi e Ferran Adrià, gli studenti dell’Erasmus e la movida sulle Ramblas, non a caso vigliaccamente colpite dal terrorismo che odia la libertà e l’amore per la vita. Il tentativo catalanista ha rischiato di mandare in frantumi l’immagine e la sostanza di questo microcosmo, creando gravi danni al turismo e all’economia, scavando un solco nella società, spezzando famiglie, amicizie, amori. Il calcolo era approfittare della debolezza dell’Europa e di Madrid, dove il premier Rajoy governa senza maggioranza parlamentare. Il fallimento non potrebbe essere più totale: Rajoy, visto come il garante dell’unità nazionale, qui prenderà appena un pugno di voti, ma nel resto della Spagna è più forte di prima. Gli indipendentisti hanno ancora un vasto seguito; ma non sono riusciti né a suscitare la reazione popolare, né a procurarsi un sostegno o almeno una mediazione europea. L’asse tra Rajoy e la Merkel, che ha portato al salvataggio delle banche spagnole (e pure all’assegnazione ad Amsterdam anziché a Milano dell’Agenzia del farmaco), ha retto anche in un momento difficile.
Intendiamoci: la repressione del primo ottobre resterà una pagina nera per la Spagna e l’Europa. Per capire come sia stata possibile, e come sia stata accolta con favore dalla maggioranza degli spagnoli, bisogna ricordare che una guerra per l’indipendenza in questi anni si è già combattuta, e non è stata incruenta come quella catalana. Il terrorismo basco, una minoranza violenta che ha tenuto a lungo in ostaggio la maggioranza pacifica, ha lasciato sul terreno 820 morti; e molti erano baschi «colpevoli» solo di portare una divisa o lavorare per lo Stato. In Catalogna questo non è accaduto. Ma la ferita resta aperta; e per cicatrizzarla servirà una politica lungimirante e generosa, diversa da quella che Rajoy e gli stessi leader di Ciudadanos offrono.
Resta il fatto che i separatisti di tutta Europa hanno dovuto muovere un passo indietro. In Veneto si è votato per l’autonomia, ma esistono secessionisti che non a caso si erano portati a Barcellona, e non sono certo stati incoraggiati nei loro propositi. Più in generale, le istituzioni nazionali e sovranazionali si vanno rivelando più forti di quanto si pensasse. I movimenti antisistema vengono battuti, come Marine Le Pen in Francia, o tendono a loro volta a istituzionalizzarsi, come i Cinque Stelle in Italia. Ma questo non deve indurre a considerare finita l’epoca della rivolta contro l’establishment. A innescare lo strappo catalano è stata anche la crisi economica, la scarsità delle risorse, la pressione fiscale che non scende mai, la distruzione del lavoro per le giovani generazioni: tutte questioni che purtroppo ci riguardano da vicino, ed esigono risposte diverse dall’austerity, dalla burocrazia, dalla conservazione dell’ordine costituito.