21 Novembre 2024

Finanziamenti e  aiuti di Stato saranno i temi che domani il Consiglio europeo comincerà a discutere, e di qui dovrebbe partire Giorgia Meloni nelle sue comunicazioni al Parlamento, non dalla scelta di un commissario

La presidente Giorgia Meloni ha illustrato alla Camera e Senato gli argomenti sull’agenda del Consiglio europeo di domani. L’accordo trovato ieri sulla designazione dei presidenti di Consiglio e Commissione e del responsabile per la politica estera dell’Unione rende tutto più facile, ma sarebbe un errore concludere che la partita è chiusa. Le persone che verranno designate dal Consiglio devono poi essere votate dal Parlamento europeo (che prima dovrà anche eleggere il suo presidente) e non è un passo ovvio. La volta scorsa, nel 2019, Ursula von der Leyen non ebbe tutti i voti che si aspettava, fu eletta con soli 9 consensi in più dei 374 allora necessari, grazie a qualche voto del Movimento 5 Stelle e dei polacchi di Diritto e Giustizia, un partito di estrema destra.
Le trattative quindi continueranno per settimane (la volta scorsa la presidente fu scelta dal Parlamento a metà luglio) e si incroceranno con l’indicazione dei 27 commissari che verranno designati, uno per Paese, dai rispettivi governi, di concerto con la presidente.
Nel frattempo Ursula von der Leyen dovrà illustrare al Parlamento il programma della sua Commissione. Un programma che spazierà dalla guerra in Ucraina ai migranti che dall’Africa chiedono di entrare nell’Unione europea, ma anche questioni più tecniche. Pensate ad esempio alle politiche per la Concorrenza, uno dei compiti più importanti della Commissione.
Dopo che il presidente Biden ha varato sussidi miliardari per indurre le imprese americane ad aderire alla transizione verde (nessuno ne conosce l’ammontare esatto, le stime oscillano fra poco meno di mille miliardi di dollari, sino a quasi 3.000) l’Ue ha dovuto attenuare i divieti agli aiuti di Stato, finora un mantra della Commissione europea. Alcune imprese infatti cominciano a minacciare di trasferire i loro impianti negli Stati Uniti per poter accedere ai sussidi di Biden.
Ma anche se la Commissione ammorbidisse le regole, quanti aiuti uno Stato può elargire? Dipende dalla condizione della sua finanza pubblica: la Germania può permettersi di sussidiare più dell’Italia e infatti oltre due terzi di tutti i sussidi pubblici nell’Ue sono concessi a imprese tedesche e francesi. Se ci si limitasse ad eliminare il divieto di aiuti di Stato si introdurrebbe una grave asimmetria, che avvantaggerebbe Francia e Germania. La soluzione è delegare l’assegnazione dei sussidi alla Commissione la quale dovrebbe finanziarli direttamente, cioè emettendo debito comune, tenendo conto della qualità dei progetti delle imprese che li richiedono, ma non dello spazio fiscale del Paese in cui si trovano. Persino l’austera Olanda lo ha chiesto.
Che idee abbia la nuova Commissione su questi temi va capito prima di votarla e prima di scegliere i portafogli dei propri commissari.
Questi saranno i temi che domani il Consiglio europeo comincerà a discutere, e di qui dovrebbe partire Giorgia Meloni nelle sue comunicazioni al Parlamento, non dalla scelta di un commissario, magari con la beffa di ricevere l’importante delega per la concorrenza senza alcun impegno sul finanziamento degli aiuti di Stato.
Inoltre, la scelta dei commissari non è indipendente dalla scelta delle persone che guideranno le strutture. La Commissione europea è una grande burocrazia, con oltre 30.000 dipendenti e circa 30 direttori generali, i veri detentori del potere. Alcuni sono ottimi, ad esempio Sandra Gallina, direttore generale per la Salute e la sicurezza alimentare, che durante il Covid gestì le trattative con le case farmaceutiche per garantire la distribuzione dei vaccini in tutta Europa. Altri sono più politici. Sarebbe un’altra beffa battersi per l’importante delega all’industria, e poi trovarsi con un direttore generale tedesco che difende le imprese del suo Paese. E comunque più dei passaporti conteranno le politiche, cioè la capacità di indicare obiettivi, strategie e su quelle costruire alleanze. Un esercizio che richiede più consapevolezza sulla reale abilità del Paese di influire sulle scelte europee. Che non sempre si ha e si è avuta.

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