Da mesi una metropoli di oltre 10 milioni di abitanti non ha più un servizio di trasporto pubblico locale. A Baoding, nella provincia cinese dell’Hebei, l’azienda di bus controllata dal governo regionale ha interrotto un gran numero di linee urbane, adducendo difficoltà finanziarie che le impediscono di sostituire le batterie dei veicoli. Altre città cinesi stanno incontrando problemi simili. Secondo il sito Caixin, le interruzioni del trasporto pubblico locale è il sintomo delle tensioni che stanno scuotendo il «debito nascosto» di Pechino.
Il debito delle amministrazioni locali
Le amministrazione locali delle province cinesi hanno accumulato negli anni debiti in quantità per finanziare la costruzione di infrastrutture, abitazioni e, più in generale, il formidabile sviluppo dell’economia del Dragone. Stando ai dati ufficiali, il debito pubblico di Pechino ammonta a circa 4700 miliardi di euro e, sommato con quello di famiglie e imprese, vale il 282% del Prodotto interno lordo nazionale. Il dato è però sottostimato perché i governi regionali hanno collocato obbligazioni e contratto prestiti che non figurano nei bilanci e nelle statistiche ufficiali. Stando ad alcune stime, questo «debito nascosto» ammonterebbe a 8350 miliardi di euro, quattro volte il pil italiano.
La crisi immobiliare
Per anni il debito delle amministrazioni locali non ha rappresentato un problema. L’economia cinese continuava a crescere a ritmi sostenuti, trainata dal settore immobiliare che rappresenta oltre un quarto del Pil. La vendita dei terreni edificabili consentiva alle province di sostenere la spesa pubblica, investire su nuove infrastrutture e far fronte agli oneri finanziari. Negli anni del boom, del resto, i gruppi immobiliari ne hanno comprati in quantità e hanno prosperato vendendo appartamenti ancora incompleti per finanziarne la costruzione. Poi, a causa della pandemia, il sistema si è inceppato. La domanda di abitazioni è crollata e non si è più ripresa: il calo demografico e la disoccupazione giovanile ai massimi hanno affossato il mercato immobiliare. Risultato: a fine 2021 il gruppo Evergrande è stato dichiarato insolvente e avviato un processo di ristrutturazione del suo debito da 340 miliardi. Nel successivo anno e mezzo sono falliti due terzi degli sviluppatori immobiliari privati in Cina.
Il pericolo di default
Le province sono state di conseguenza private di uno dei loro principali canali di finanziamento. Secondo Ubs, l’80% dei loro veicoli finanziari non è oggi in possesso di liquidità sufficiente a pagare gli interessi sul debito. Entro fine anno andranno a scadenza obbligazioni per circa 329 miliardi di euro in capo alle amministrazioni locali. Cosa accadrebbe se non venissero rimborsate? La crisi immobiliare potrebbe allora propagarsi . Poco esposte all’industria delle costruzioni, infatti, le banche cinesi lo sono eccome al debito delle amministrazioni locali. Se anche quest’ultime dovessero andare in default, allora il pericolo di una Lehman Brothers in salsa asiatica diventerebbe più concreto. Il rischio cioè che lo scoppio della bolla immobiliare possa travolgere il sistema finanziario e poi l’economia reale cinese.
La decisione del governo
Non a caso, nell’ultima riunione di luglio del Politburo del Partito comunista, rivela Caixin, è stata evidenziata la necessità di abbattere il debito delle amministrazioni locali che, secondo il ministro delle Finanze Lu Kun, a fine 2022 era sceso di un terzo rispetto ai massimi. La crisi immobiliare impone però di tagliare più in fretta l’esposizione anche perché le tensioni geopolitiche rischiano di rendere più impervio l’accesso di Pechino ai mercati e quindi più costoso un eventuale salvataggio da parte dello Stato centrale.
Il silenzio di Xi
Il presidente Xi Jinping è peraltro rimasto sinora silente, nonostante l’auspicio degli esperti di un intervento massiccio del governo per risolvere la crisi immobiliare e per ridare slancio all’economia che, per la prima volta da decenni, nel 2023 potrebbe crescere meno del 5%.Il governo ha iniziato ad adottare misure per aiutare i gruppi immobiliari rimuovendo alcuni limiti agli acquisti di case (fra i più severi al mondo) e alla concessione di mutui. Ha anche consentito ai costruttori di accedere al credito delle banche commerciali, canale sinora molto ristretto.
I dubbi degli esperti
Nel comunicato della riunione del Politburo di luglio, infine, non è stato citato il mantra di Xi – «la casa è per abitare, non per speculare» – un’omissione letta come un indizio di un prossimo soccorso al settore immobiliare. La frase è però ricomparsa oggi in un’editoriale del quotidiano statale Economic Daily, lasciando presagire che il governo non intende spingersi oltre nel sostegno al mercato immobiliare e ai colossi privati attivi nel settore. Una ritrosia che è stata variamente interpretata dagli esperti. La situazione è davvero sotto controllo, come sostengono le autorità locali? Oppure l’inerzia di Xi è funzionale a ridimensionare il settore privato e i neo-capitalisti cinesi che negli ultimi anni avevano conquistato troppa influenza?