L’apparente eccezionalità cinese si vede nel numero di brevetti registrati ogni anno: un milione e 340 mila nel 2020, contro i 269.586 degli Usa, secondo la World Intellectual Property Organization (Wipo). Il problema è però la qualità di questi brevetti
Cosa fa di un Paese una potenza economica? Le dimensioni del suo Pil, certo. Il reddito pro capite. La facilità di fare business. In grande misura, però, è la capacità di innovare, di sviluppare la ricerca e applicarla alle necessità delle popolazioni. In qualche caso, la misura è la possibilità di inventare nuovi mercati, come è stato con gli smartphone della Apple. In questo senso, la Cina è una grande potenza economica? Se si considera il numero di ricercatori, per ogni milione di cinesi, nel Paese ce ne sono 1.307, secondo l’Unesco (dato del 2018 riportato da Ouworldindata.org). Numero che si confronta con i 4.412 degli Stati Uniti, i 5.512 della Germania, i 5.531 del Giappone (ancora di più nei Paesi scandinavi e in Finlandia).
Dato il miliardoequattrocento milioni di cinesi, però, la massa di ricercatori in Cina è enorme. Anche la spesa in Ricerca e Sviluppo di Pechino non è male: il 2,1% del Pil contro il 2,8% americano. L’apparente eccezionalità cinese si vede però nel numero di brevetti registrati ogni anno: un milione e 340 mila nel 2020, contro i 269.586 degli Usa, secondo la World Intellectual Property Organization (Wipo). Il problema è però la qualità di questi brevetti, dicono gli esperti. Per esempio, secondo al Centre for International Governance Innovation, la maggior parte dei brevetti cinesi non è motivata e sostenuta da innovazioni ma dalla necessità di ottenere finanziamenti dal governo, promozioni e per migliorare la reputazione di singoli o di istituti. Non è probabilmente un caso che solo il 6,3% dei brevetti cinesi sia depositato all’estero, quota che invece è del 45,3% per gli Stati Uniti e del 58,8% per la Germania. La Wipo utilizza un «grant ratio» per certificare la qualità dei brevetti presentati: nel 2019, per quelli cinesi era al 30% contro il 59,4% degli americani, il 59% dei tedeschi, il 52% dei canadesi, il 57% dei sudcoreani, il 52% dei britannici. Pechino punta, insomma, più alla quantità che alla qualità: probabilmente perché in Cina conta di più acquisire punti con il governo e con il Partito Comunista che innovare veramente. Infatti, i brevetti originati in università diventano utili all’industria cinese per il 3,7% contro il 45,2% di quelli sviluppati nelle imprese. La sfida scientifica e tecnologica che Xi Jinping ha lanciato agli Stati Uniti e all’Occidente parte piuttosto in salita.