Il personale sanitario come i calciatori: stipendi d’oro, casa e meno tasse, i primi cento veneti hanno già detto sì. «Si aggrava la carenza di personale». Lombardia e Emilia Romagna le altre regioni che registrano l’esodo maggiore
Ormai sono diventati come le stelle del calcio, così richiesti da avere solo l’imbarazzo della scelta in merito alla «squadra» e al Paese da preferire. Parliamo di medici, infermieri e fisioterapisti italiani, che dopo aver attirato l’interesse di Inghilterra, Germania, Francia, Spagna adesso sono corteggiati dai Paesi del Golfo. Cioè Qatar, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Oman, Bahrain e Kuwait. Entro il 2030 in Arabia Saudita serviranno 44 mila medici e 88 mila infermieri, in seguito alla crescita della popolazione e all’avanzamento dell’età, quindi è partita «la campagna acquisti». Risultato: 500 professionisti della sanità italiana e 50 del resto d’Europa (250 medici specialisti, 200 infermieri, 100 tra medici generici, fisioterapisti, farmacisti, podologi e dietisti) negli ultimi tre mesi hanno dato la disponibilità a trasferirsi dall’altra parte del mondo.
Il contingente include 100 tra camici bianchi, infermieri e fisioterapisti al lavoro nel Veneto, l’85% nel pubblico. Lo rivela Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici stranieri in Italia (Amsi) e componente del direttivo Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei Medici: «È un fenomeno che monitoriamo da 8 anni e che purtroppo aggraverà la carenza di sanitari in Italia. Le Regioni che registrano una maggiore fuga all’estero di operatori sono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. I motivi sono presto detti: nei Paesi del Golfo, per stare sull’ultima tendenza, i salari dei camici bianchi oscillano tra 14mila e 20mila euro al mese e quelli degli infermieri fra tremila e seimila, a seconda della specializzazione e dell’esperienza maturata. Ovvero minimo due anni per gli infermieri e gli altri professionisti della sanità e cinque anni per i medici. In più vengono corrisposti casa, servizi, inserimento scolastico per i figli, agevolazioni fiscali e burocrazia snella e veloce».
Difficile dire di no. «Il 99% dei sanitari italiani ha accettato l’offerta prima di tutto per la grande stanchezza accumulata in anni di lavoro in ospedale, con orari e carichi di lavoro ormai insopportabili — sottolinea però Aodi —. Situazione esasperata dalla pandemia da Covid-19. E poi c’è appunto il fattore economico, con retribuzioni doppie e triple rispetto a quelle percepite in patria. E infine contribuisce alla decisione la voglia di maturare un’esperienza all’estero, almeno per quattro anni». Le specializzazioni più richieste ai medici sono Dermatologia, Chirurgia generale, Ortopedia, Gastroenterologia, Ginecologia, Pediatria, Oculistica, Emergenza-urgenza, Chirurgia plastica, Otorinolaringoiatria. Il presidente dell’Amsi è però preoccupato da una parte per gli enti di reclutamento (anche canali Social), non sempre corretti e trasparenti, dall’altra per la tenuta del Sistema sanitario nazionale: «La fuga all’estero aggrava ulteriormente la mancanza dei professionisti della sanità, soprattutto pubblica».
Nel Veneto in quattro anni i medici ospedalieri sono scesi da 11mila a 8362, gli infermieri da 30mila a 26.146. Gli operatori sanitari sono 10.347 ma, secondo i sindacati, ne servirebbe almeno un 10% in più.
E non è finita: la «fuga» è anche interna. Stando al Nursing Up, sindacato degli infermieri, migliaia di questi professionisti si stanno dimettendo dagli ospedali del Nord Italia per tornare al Sud, loro terra d’origine. «Nel 2022 dagli ospedali di Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Veneto si sono dimessi 1530 operatori sanitari, per la maggior parte infermieri — rivela il presidente Antonio De Palma —. Solo in piccola parte si tratta di pensionamenti programmati, per oltre il 50% sono dimissioni. E non esiste un piano di assunzioni, perché i bandi di concorso vanno deserti. A fronte di retribuzioni inadeguate, gli infermieri devono affrontare turni massacranti, ferie e riposi che saltano. Inoltre con 1400 euro al mese al Nord non riescono più a mantenersi»
Uno studio condotto da esperti di Regione e Azienda Zero rivela che nel Venetole dimissioni volontarie di infermieri sono cresciute dalle 449 del 2016, su un totale di 833 (le altre sono pensionamenti) alle 1.040 del 2022 (su 1.562), con l’acuto del 2020: 1295, il 70,2% del totale. Nel 2022 le dimissioni volontarie sono state il doppio (66,6%) rispetto a quelle per raggiunti limiti d’età (33,4%). «Affitti e bollette di luce e gas sono alle stelle, impossibile farsi una famiglia al Nord con il nostro stipendio — conviene Andrea Bottega del Nursind, sigla di categoria — e infatti nonostante la legge imponga la permanenza per almeno cinque anni ai colleghi di fuori regione e l’accordo con l’Usl di appartenenza per potersi trasferire, la mobilità dal Nord al Sud è molto cresciuta. E il problema riguarda anche le case di riposo, che continuano a perdere personale. L’unico freno sarebbe uno stipendio adeguato, al momento però non contemplato dalle istituzioni».