21 Novembre 2024
Inquinamento3

Hanno tra 11 e 24 anni di età, accusano i Governi di non aver fatto abbastanza contro il riscaldamento globale: non vogliono risarcimenti, ma un’azione più decisa

Un gruppo di ragazzi contro 33 Stati: è iniziata il 27 settembre la prima causa davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sul climate change. Avrà una portata senza precedenti, coinvolgendo il maggior numero di Stati mai citato in giudizio contemporaneamente. Il procedimento è promosso da sei cittadini portoghesi, il più giovane ha 11 anni, il più ”vecchio” ne ha 24: la generazione che, nei prossimi decenni, sperimenterà sulla propria pelle gli effetti più gravi del surriscaldamento globale.

Violati i diritti umani
L’accusa rivolta ai 27 Governi dell’Unione Europea, più Regno Unito, Svizzera, Norvegia, Russia, Turchia e Ucraina, è di violazione dei diritti umani per non aver affrontato in modo adeguato il cambiamento climatico. I ricorrenti si sono rivolti alla Cedu, senza passare per i tribunali portoghesi, poiché sostengono che le giurisdizioni nazionali non hanno fatto abbastanza per proteggere i loro diritti e perché affermano che la decisione di agire o meno contro il global warming non può essere lasciata alla discrezionalità degli Stati.
>Secondo le argomentazioni illustrate alla Corte, sulla base dell’attuale traiettoria del riscaldamento globale, i ricorrenti rischiano di subire ondate di calore di oltre 40 gradi, che dureranno per almeno 30 giorni. Si sottolinea inoltre l’esposizione a rischi crescenti, derivanti da altri fenomeni, come incendi, tempeste e malattie infettive. Queste minacce causerebbero ai ricorrenti ansia invalidante, che è un altro tema chiave del caso.

Sentenze vincolanti
Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sono legalmente vincolanti per i Paesi membri e la mancata osservanza fa scattare multe pesanti. La decisione è attesa per la prima metà del 2024. Un verdetto di colpevolezza potrebbe costringere i Governi ad accelerare i piani di taglio delle emissioni di gas serra. Questo è l’obiettivo dei ricorrenti, che non chiedono un risarcimento economico. «Abbiamo presentato prove che dimostrano che gli Stati hanno il potere di fare molto di più per regolare le loro emissioni di gas serra, ma stanno scegliendo di non agire», ha dichiarato l’avvocato Gerry Liston, della Global Legal Action Network, che sostiene i ricorrenti. Una condanna «sarebbe come un trattato vincolante imposto dalla Corte agli imputati», ha aggiunto Liston. Inoltre, le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno un’influenza sulle cause discusse nei tribunali nazionali.
«Senza un’azione urgente per ridurre le emissioni, il luogo in cui vivo diventerà presto una fornace invivibile», ha dichiarato uno dei ricorrenti, il ventenne Martin Agostinho.
Per vincere, i ricorrenti dovranno convincere i giudici di aver subito danni diretti e dovranno dimostrare che i Governi hanno il dovere legale di contenere l’aumento delle temperature globali vicino a 1,5 gradi e ben sotto 2 gradi, rispetto al periodo pre-industriale, come sancisce l’Accordo di Parigi del 2015.

La difesa dell’Unione Europea
Il direttore del servizio giuridico della Commissione europea, parlando a nome del braccio esecutivo dell’Unione come terza parte nella causa, ha difeso le politiche climatiche di Bruxelles: «La Ue sta andando oltre gli obblighi dell’accordo di Parigi», ha dichiarato Daniel Calleja Crespo, citando l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Intentato a settembre del 2020, quello che si è appena aperto è il primo caso del genere depositato presso la Corte di Strasburgo. Nel frattempo, sono state presentate altre due cause analoghe, una da parte di un’associazione di donne anziane svizzere contro il Governo elvetico e l’altra da parte di un parlamentare francese contro Parigi.
Le cause sul cambiamento climatico stanno aumentando nel mondo, tanto da avere già conquistato un nome: «Climate litigation». Ad agosto, un tribunale del Montana (Stati Uniti) ha emesso uno storico verdetto a favore di un gruppo di attivisti.

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