Fonte: La Repubblica
di Federico Rampini
Il tycoon rimonta nei sondaggi degli ultimi giorni, con Hillary che è ancora favorita, grazie al particolare sistema di voto degli Stati Uniti. Le prospettive negli Stati dove sarà decisa l’elezione dell’8 novembre
NEW YORK – A meno di una settimana dal voto, e dopo una defatigante campagna elettorale durata un anno e mezzo, il commento più calzante lo ha fatto lo storico inglese Andrew Roberts riesumando una battuta di Henry Kissinger all’epoca della prima guerra Iran-Iraq: “Peccato che non possano perdere entrambi”. È forse l’unica cosa su cui oggi la maggioranza degli americani sono d’accordo: la scelta è fra due pessimi candidati, le cui debolezze sono diventate ancor più evidenti in quest’ultima fase segnata da fango, scandali, uno spettacolo da Repubblica delle banane.
Per capire lo scenario elettorale disegnato dai sondaggi – sempre soggetti a errore, sia chiaro – bisogna ricordare alcuni dati essenziali, sia sul sistema politico americano, sia sul conteggio dei voti.
IL BIPARTITISMO
Primo punto: questa nazione si è abituata da molto tempo ad avere un sistema bi-partitico. Questo è essenziale per capire alcune tendenze dell’ultima ora come la rimonta di Donald Trump: più ancora dell’effetto emailgate scatta semplicemente un riflesso di appartenenza. Molti elettori di destra preferiscono votare comunque il loro candidato pur di non lasciare che Hillary Clinton conquisti la Casa Bianca.
GLI STATI CONSIDERATI SICURI PER I DUE CANDIDATI
Le “due Americhe”. Il rosso (che qui indica la destra) e il blu si mescolano poco. L’America liberal è prevalentemente sulle fasce costiere, quella conservatrice presidia il profondo Sud e i petro-Stati, dove domina il business delle energie fossili. Le varianti sono spesso legate ai flussi migratori. Alcuni Stati del Sud sono diventati “contendibili” per i democratici in seguito all’aumento dell’elettorato ispanico. Non è scontato che gli immigrati siano di sinistra: nella sua storia il partito repubblicano ha saputo conquistare dei consensi tra italiani, irlandesi, polacchi. Ma le ultime posizioni sull’immigrazione hanno creato un solco. Qui sotto una lista di Stati che dovrebbero essere saldamente da una parte e dall’altra, ma che non bastano a sancire un vincitore.
Trump: 16 Stati sicuri e 115 grandi elettori (sui 270 necessari): Wyoming, West Virginia, Oklahoma, Idaho, Arkansas, Alabama, Louisiana, Kentucky, Tennessee, South Dakota e North Dakota, Montana, Mississippi, Kansas, Indiana, Alaska.
Clinton: 15 Stati sicuri e 192 grandi elettori (sui 270 necessari): Vermont, Maryland, Hawaii, Massachusetts, California, New York, Rhode Island, Illinois, Delaware, Connecticut, Washington, New Jersey, Oregon, New Mexico e il District of Columbia.
Questa tradizione bi-partitica, solo occasionalmente perturbata da candidature indipendenti o di micro-partiti extraparlamentari, ha un’altra conseguenza: più ancora che nella capacità di attirare elettori indipendenti o indecisi, la forza di un candidato si misura spesso nella sua capacità di fare il pieno dei voti nel proprio partito, alzando le percentuali di affluenza e contrastando l’astensionismo.
GLI STATI DA TENERE D’OCCHIO
LA FLORIDA. Da sempre il trofeo più ambito tra i collegi in bilico. Esprime 29 “grandi elettori”, un pacchetto inferiore solo a California e Texas, pari a New York. Fu decisiva (con brogli) nella sfida Bush-Gore. La demografia favorisce la Clinton: aumentano gli immigrati ispanici che hanno la cittadinanza, e non gradiscono la xenofobia di Trump. Ma lei può anche permettersi di perderla mentre per Trump un “percorso di vittoria” senza Florida è arduo. La media degli ultimi sondaggi assegna la Florida a Trump con un margine esiguo, dello 0,5%, ben al di sotto della probabilità di errore statistico.
TEXAS. L’inverosimile traguardo che fa sognare i democratici. Dopo il presidente Lyndon Johnson (ultimo democratico texano alla Casa Bianca) lo Stato del Big Oil è passato stabilmente nel campo repubblicano. Con i suoi 38 grandi elettori è indispensabile alla destra per bilanciare la progressista California (55). I sondaggi lo assegnano a Trump, ma con un margine meno solido di altre tornate elettorali. Se dovesse scivolare a sinistra il Texas, si aprirebbe uno scenario da “landslide”, la frana del Grand Old Party. Con effetti a catena sul Congresso dove i democratici potrebbero riconquistare la maggioranza non solo al Senato ma forse perfino alla Camera.
OHIO. Altro Stato industriale, cerniera tra la East Coast e il Midwest, ha un bottino di 18 voti. Era la roccaforte del governatore repubblicano (moderato) John Kasich malamente sconfitto da Trump nelle primarie. Anche se la Clinton gode di un leggero vantaggio nei sondaggi, qui il tycoon rimane competitivo. Strappare l’Ohio per lui può significare anche una performance migliore del previsto in altri Stati della cosiddetta “cintura della ruggine”, la vecchia America delle fabbriche.
PENNSYLVANIA. Con 20 “grandi elettori” è uno Stato medio-grande. C’è abbastanza classe operaia bianca danneggiata dalle delocalizzazioni, da essere conquistabile per Trump col suo protezionismo. Invece la Clinton è favorita con un margine di 5 punti. Forse per questo Trump ha parlato di “cose orrende” che accadono a Philadelphia: i presunti brogli sono un’allusione a qualcos’altro, troppi neri che votano. Ma se la sera dell’8 dovessimo scoprire che la Pennsylvania va a destra, sarebbe il segnale che i sondaggi hanno sbagliato, l’avvisaglia di una “frana” imprevista di Hillary.
I NUMERI PER LA VITTORIA
Secondo punto, le regole del conteggio. Il presidente degli Stati Uniti non viene eletto sulla base di una percentuale nazionale, per questo i sondaggi generalisti compiuti sui 50 Stati Usa sono un termometro di popolarità ma possono indicare un vincitore diverso da quello che alla fine conquisterà la Casa Bianca.
Nel sistema americano i voti si contano Stato per Stato. Ciascuno Stato esprime un certo numero di “grandi elettori” che andranno a formare il collegio elettorale nazionale. Il peso dello Stato è proporzionale alla popolazione, sicché il numero uno è la California, secondo il Texas, al terzo posto si affiancano New York e la Florida, e così via. Vince chi si aggiudica 270 delegati.
Con rarissime elezioni gli Stati applicano un sistema maggioritario puro, per cui il primo arrivato arraffa la totalità dei delegati nello Stato. Molti Stati esprimono da tanto tempo una maggioranza abbastanza netta, di destra o di sinistra, il che accentua l’importanza di quegli Stati che invece sono “in bilico” e possono di volta in volta finire nel campo repubblicano (rosso) o democratico (blu).
Tuttavia, sia per effetto di cambiamenti demografici (immigrazione) sia per il carattere anomalo di questa campagna e della candidatura Trump, non è escluso che le tradizionali preferenze politiche possano subire cambiamenti vistosi.
Infine non va dimenticato che martedì 8 novembre si elegge anche la Camera dei deputati, e si rinnova un terzo del Senato. Chi conquista il Senato condiziona le nomine del presidente alla Corte suprema (fra l’altro), sicché è giusto dire che perfino il massimo organo giudiziario è in palio. Attualmente la Corte suprema è divisa a parità fra giudici repubblicani e democratici ma c’è un seggio vacante da riempire.
I SONDAGGI E LE TENDENZE
Venendo alle ultime tendenze, continua a restringersi il vantaggio di Hillary, ed è solo in parte un effetto del mail-gate. I primi sondaggi compiuti parzialmente a cavallo del weekend, e che quindi includono qualche effetto della vicenda Fbi, confermano l’erosione del suo vantaggio, che comunque era già in atto da oltre una settimana.
L’ultimo sondaggio di Politico.com, per esempio, le dà solo 3 punti su Trump. Magra consolazione: nell’analisi dei 20 milioni che hanno già votato (voto per corrispondenza e voto anticipato in quegli Stati che lo consentono) Hillary è in vantaggio, ma ovviamente sono molti di più quelli che voteranno il giorno stesso (precisazione: ovvio che le schede mandate in anticipo non si possono aprire e contare, ma c’è un metodo indiretto per stimarne l’esito, in un paese dove ci si “registra” come democratici o repubblicani).
E per Usa Today i Millennia stanno mollando Hillary: avrebbe perso 6 punti fra i giovani.
La vittima quasi certa di questa elezione, chiunque vinca: la legittimazione dell’avversario. Quindi la possibilità di trovare intese bipartisan, e un’agenda di riforme condivise da varare rapidamente al Congresso. Su questa analisi del dopo-voto concordano quasi tutti. Se si avvera, avremo una democrazia più malata che mai, un sistema indeciso a tutto, un Congresso paralizzato.
Lo scenario ipotizzato mostra quanto potrebbe essere difficile per Trump conquistare la Casa Bianca. Oltre a dover vincere tutti gli Stati in bilico, Trump dovrebbe ‘scipparne’ almeno uno dove è indietro, come Colorado, Michigan o Pennsylvania. E alla Clinton potrebbe bastare la sola Florida (dove le analisi del guru Nate Silver la dà ancora in leggero vantaggio) per compensare la perdita di uno o due di questi Stati.
Insomma: lo scenario della mappa 3 presuppone che Hillary abbia “blindato” gran parte degli Stati in bilico che oscillano verso una maggioranza democratica. Gli spostamenti delle ultime settimane consigliano prudenza, visto che quasi ovunque il vantaggio della Clinton si è ridotto. E fino all’alba del 9 novembre, presumibilmente, incomberà l’incognita di un possibile fiasco dei sondaggi.
Cosa potrebbe determinare un flop monumentale delle previsioni? In genere chi mette in dubbio la loro attendibilità, pensa che possano sottostimare gli elettori di Trump.
Due le ipotesi in questo caso. La prima è che esistano dei seguaci di Trump che si vergognano a palesarsi nei sondaggi; la seconda è che la campionatura delle indagini demoscopiche non tenga sufficientemente conto della capacità di attrazione del tycoon newyorchese su fasce di popolazione che tradizionalmente non vanno a votare.
Altre teorie spingono nella direzione opposta, per esempio ipotizzano che certe donne conservatrici siano state orripilate dalla misoginia di Trump e possano scegliere Hillary nel segreto dell’urna; oppure che la paura delle espulsioni di massa possa far salire oltre il previsto l’affluenza di ispanici che votano democratico.
Sono tutte supposizioni, illazioni, che ci inseguiranno fino alla fatidica nottata elettorale.