Fonte: La Stampa
di Linda Laura Sabatini
Sui social si è sviluppata una grande protesta per le cartoline del Fertility Day. Ragioniamoci insieme. L’Italia è un Paese a permanente bassa fecondità. Il numero di figli per donna è molto basso, il numero di nascite ha ripreso a diminuire negli anni della crisi.
L’età alla nascita dei figli cresce inesorabilmente. Assistiamo a uno spostamento in avanti dei tempi di vita. Più tardi si esce dalla famiglia di origine, più tardi si trova lavoro, si forma una nuova coppia e si arriva ad aver figli. Questo processo in atto non è frutto di libera scelta dei singoli – a volte può anche esserlo – ma spesso risente di vincoli di natura oggettiva. Se non si trova lavoro e la disoccupazione giovanile è alta, come si fa a decidere di avere un figlio? Se il costo delle abitazioni è alto, come si fa a mettere su famiglia? Il problema è, come ho già sottolineato dalle colonne di questo giornale, che siamo un Paese con un clima sociale sfavorevole alla maternità e alla paternità, dove le rigidità sociali rendono difficile avere figli; dove le donne che li hanno interrompono il lavoro in un terzo dei casi in seguito alla nascita del figlio; dove gli orari di lavoro sono ancora troppo rigidi e lo smart working poco diffuso. Un Paese in cui i servizi per l’infanzia sono scarsi e le nonne continuano ad essere nonne-sister sempre più affaticate. Abbiamo bisogno di politiche per mettere in condizione le donne e gli uomini di avere i figli che desiderano. Politiche che rimuovano le rigidità sociali e affrontino seriamente anche il problema dell’infertilità. Stiamo parlando di una delle cose più belle per una donna che lo desideri, mettere al mondo un figlio. E una delle cose più belle per un uomo che lo voglia, diventare padre. Che è una cosa bella gli uomini e le donne lo sanno già. Tutto ciò che renda più semplice e tolga ostacoli per raggiungere questa cosa meravigliosa desiderata, ben venga.
Ma dobbiamo ricordarci che la questione è anche alquanto delicata, perché molto spesso donne e uomini vorrebbero avere figli ma non hanno le condizioni materiali per farlo, oppure appunto hanno problemi di infertilità – il numero di figli desiderato è superiore al numero di figli avuto. Ritengo importante che si affronti il problema dell’infertilità maschile e femminile: è un problema serio ed è anche giusto che il ministero della Salute si occupi di salute riproduttiva, di informare uomini e donne delle opportunità che ci sono sulla questione dell’infertilità e del cosiddetto orologio biologico. C’è ancora poca informazione, e se cresce la consapevolezza aumenta la libertà di scelta, ma una cosa è informare, altra cosa è lanciare una campagna che suona colpevolizzante soprattutto verso donne e giovani, e assolutamente criptica per gli uomini, perlomeno a giudicare dalle cartoline che sono circolate.
Sui social si è sviluppata una grande protesta, soprattutto di donne, ma anche di uomini. La campagna lanciata su una questione importante, quella dell’infertilità, è stata male impostata, e lo si vede dalle reazioni. La clessidra tenuta in mano dalla donna vestita di rosso suona come una intromissione e una colpevolizzazione per chi ritarda la nascita di un figlio e magari non vorrebbe farlo, oppure semplicemente decide di farlo più tardi perché così preferisce. Non si può approcciare la cosa con l’incitamento romanesco «Datte ’na mossa». I genitori giovani sarebbero più «creativi», e quelli che non possono avere figli presto, che sono tanti, non sono creativi? «La fertilità maschile è molto più vulnerabile di quanto pensi», che messaggio fa passare? I figli non si fanno per la Patria, ma se sono desiderati. Insomma, un pasticcio. La comunicazione è cosa molto importante, soprattutto se è pubblica e su temi delicati come questi. E’ fondamentale che sia bene indirizzata. E ricordiamoci che noi donne sono anni che chiediamo politiche per garantire l’autodeterminazione e la possibilità di avere figli che vogliamo. Si deve affrontare anche l’infertilità, ma non così. Ed è necessario anche attivarsi realmente per eliminare il clima sociale sfavorevole alla maternità e paternità, rimuovendo le rigidità sociali. Non spetta al ministero della Salute, ma va messo in agenda.