Fonte: Corriere della Sera
di Fabrizio Pagani e Fabio Pammolli
La linea di credito Pandemic Crisis Support (PCS), aperta dal Meccanismo Europeo di Stabilità, mette a disposizione dell’Italia circa 36 miliardi di euro, il 2% del Pil, un risparmio orientativo di 150 punti base sul servizio del debito
L’Italia è il «malato d’Europa». La pandemia ha svuotato questa definizione della sua valenza metaforica. E se la prossima manovra di bilancio sarà la più carica di conseguenze della storia repubblicana, sin da subito è urgente ricostruire un nesso virtuoso tra salute pubblica ed economia, tra tutela dei diritti e sostenibilità dei conti.
La linea di credito Pandemic Crisis Support (PCS), aperta dal Meccanismo Europeo di Stabilità, mette a disposizione dell’Italia circa 36 miliardi di euro, il 2% del Pil, un risparmio orientativo di 150 punti base sul servizio del debito. Una condizione, un’unica condizione: impiegare le risorse per ridisegnare la sanità del post-Covid. Decidere di accedervi comporta risparmi rilevanti, ma soprattutto significa vincolare risorse ingenti su obiettivi di sanità, in maniera univoca: con il massimo del rigore e le migliori competenze.
Il PCS impone dunque una responsabilizzazione ineludibile della classe di governo all’adeguamento del sistema sanitario. La violenza della pandemia non può, del resto, essere derubricata a evento estremo, irripetibile. Come per i grandi rischi naturali, il Paese deve investire per proteggersi da possibili nuove emergenze epidemiche e porsi nelle condizioni di contenere le perdite di vite umane senza far esplodere quelle economiche e sociali.
Nel suo assedio al sistema sanitario, il virus ha attaccato gli ospedali lungo la catena che va dai pronto soccorso ai reparti sub intensivi, sino alle rianimazioni e alle terapie intensive. L’onda di piena è stata più forte quando non ha incontrato bacini di espansione organizzati sui territori, quando ha potuto contare sui ritardi nella lettura dei dati dell’epidemia e su quelli nella protezione dei soggetti più vulnerabili, perché già affetti da diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione, malattie respiratorie. La risposta sanitaria è stata efficace laddove ha fatto leva sui percorsi clinici integrati, sulle reti delle cure primarie e dell’assistenza, sull’analisi tempestiva dei dati clinici, su volumi adeguati di test.
Su questo sfondo, abbiamo identificato — con un team di esperti riuniti attorno all’Associazione M&M e alla Fondazione Cerm — cinque linee prioritarie d’intervento: 1) L’accelerazione degli investimenti per l’ammodernamento degli ospedali, curandone il retrofit o realizzandone di nuovi per sostituire quelli più vecchi, inadeguati e costosi da gestire. Serve che un numero congruo di strutture siano idonee per la gestione delle emergenze epidemiche, riducendo al minimo il ricovero dei pazienti contagiati negli altri ospedali. 2) L’adeguamento delle strutture intermedie di cura, dei centri di prossimità, delle residenze sanitarie assistenziali. 3) La costruzione di una rete nazionale di monitoraggio e di biosorveglianza, con il contestuale rafforzamento delle reti di presa in carico delle cronicità e delle multimorbilità. 4) Il potenziamento della diagnostica e dell’assistenza domiciliare, della telemedicina e della teleassistenza. 5) La costituzione di una rete nazionale di laboratori per i test diagnostici.
La storia recente ci racconta di una sanità a più velocità. Per questo è indispensabile un soggetto responsabile dell’attuazione e della rendicontazione del programma, che progetti gli strumenti di finanziamento e supporti, o sostituisca, le stazioni appaltanti là dove più forti sono le difficoltà di attuazione. Al di là dei costi di finanziamento contenuti, le risorse del MES si riveleranno utili solo se saranno sostenute da una forte discontinuità nella scrittura e nella gestione dei contratti di appalto, se serviranno a tagliare l’estenuante liturgia dei dialoghi competitivi, se saranno utilizzati per costruire rapidamente linee di cofinanziamento tra stanziamenti a fondo perduto e linee di credito della BEI, se asseconderanno la programmazione delle Regioni più virtuose e pungoleranno quella delle Regioni rimaste più indietro. È un passaggio chiave, sul versante delle competenze ingegneristiche e finanziarie, oltre che di scrittura e controllo di contratti complessi. Non si vedono alternative, se si vuole scongiurare il rischio di un pendolo sfibrante tra razionamenti e tagli per far quadrare i conti e rivoli di spesa non programmata, a piè di lista. Covid-19 rischia di essere ricordato come un punto di rottura nella gestione del sistema, destinato ad acuire le tensioni tra istanze centraliste e richieste di autonomia. Per evitarlo, le risorse europee vanno impiegate riprendendo con forza il cammino dei fabbisogni della spesa standard (legge n. 42 del 2009), della presa in carico dei malati cronici sui territori (L 189/2012), della ristrutturazione della rete ospedaliera (DM n. 70/2015).
Le ristrettezze delle finanze pubbliche e il monitoraggio della linea di credito aperta dal MES impongono programmazione, oculatezza, capacità di coinvolgimento degli investitori. La crisi porta con sé uno spazio per la modernizzazione della sanità italiana, ci fornisce le risorse per farlo, ma ci domanda convinzione, concentrazione degli sforzi, responsabilità.