Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
Avanza il voto di protesta, il Pd regge a fatica, M5S vola a Roma. Ma, nelle grandi città, è tutto rinviato ai ballottaggi del 19 giugno
È una fotografia sgranata, quella che emerge dalle Amministrative di domenica. Il Movimento 5 stelle continua ad avanzare a Roma e Torino, e il Pd barcolla. Nelle grandi città, è tutto rinviato ai ballottaggi del 19 giugno. Ma aleggia lo spettro di una coalizione trasversale che converge sui candidati ostili a quelli di governo, per sconfiggere il partito di Matteo Renzi.
Dalle percentuali di Milano, pur favorevoli, dal vantaggio netto della candidata del M5S nella capitale e da quello del sindaco uscente di Napoli, si capisce perché Renzi abbia detto che queste elezioni non riguardano il governo nazionale. I motivi di sollievo, per lui, non sono molti. Nel cuore della notte non era ancora chiaro se la sfida sarà tra Virginia Raggi e Roberto Giachetti. Il candidato renziano rischia fino all’ultimo di non andare al ballottaggio, superato da Giorgia Meloni, esponente di una destra spaccata e in polemica con Silvio Berlusconi. E comunque, i consensi della seguace di Beppe Grillo fanno pensare che la prima abbia buone probabilità di spuntarla.
Il fatto che il M5S sia diventato il primo partito della capitale e l’affermazione della Meloni su Alfio Marchini, appoggiato da Berlusconi, ha altre due implicazioni. La prima è la difficoltà di Renzi a riaccreditare il Pd nella capitale. Evidentemente, il malumore per gli scandali e per le faide interne ha lasciato lividi profondi a sinistra. Troppo pesante l’ipoteca del passato, e troppo modesto l’investimento per cancellarla anche per il profilo di Giachetti, che ha raccolto meno voti della sua coalizione. L’epilogo colpisce perché il Pd aveva davanti un centrodestra diviso.
E qui siamo a una seconda conseguenza riguarda il centrodestra: la conferma della subalternità di Fi al Carroccio. A Milano FI e Lega sono alleati. E le proiezioni che arrivavano durante lo spoglio, davano un lieve vantaggio a Giuseppe Sala sul centrodestra di Stefano Parisi, che però andrà verificato tra quindici giorni.Il tema più dirimente è comunque la sfida Pd-M5S, dalla capitale a Torino.
In più, Napoli premia il sindaco uscente, Luigi de Magistris, nemico di Palazzo Chigi. E nella stessa Torino, il Dem Piero Fassino è in testa, ma tallonato dal movimento di Grillo, che diventa il primo partito.
È improbabile che tutto questo possa destabilizzare il governo. Inserirebbe però elementi di incertezza e tensione in vista del referendum sulle riforme costituzionali di ottobre. E questa sarebbe una terza conseguenza insidiosa. Più i risultati sono negativi, più gli avversari di Renzi contrasteranno la campagna per il «sì», utilizzando le Amministrative come prima spallata in attesa di quella referendaria contro il suo esecutivo. Bisognerà anche capire se la tendenza del premier a minimizzare il significato del voto appena espresso, continuerà di qui ai ballottaggi. È parsa una scelta corretta, eppure ha alimentato il sospetto che volesse esorcizzare in anticipo una sconfitta. Tra l’altro, i dati sulla partecipazione dicono che la lenta emorragia degli elettori non si è fermata: soprattutto nelle grandi città. E questo alimenta polemiche contro il governo per la scelta del 5 giugno. Non ci sono più posizioni di rendita per nessuno. Vale per il Pd. Per il centrodestra. E per il M5S, che da domenica ha da perdere molto a sua volta: se non altro perché almeno a Roma è il principale candidato alla vittoria.