Attaccati Canada, Messico, Europa e Asia. Risparmiate solo alcune componenti coperte dall’accordo nordamericano. In gioco 7 milioni di vetture l’anno importate

Quello di Donald Trump è stato alla fine un duro colpo inflitto all’auto su scala globale, con danni certi per i marchi dell’Unione Europea. I nuovi dazi del 25% dall’inizio del mese prossimo riguardano tutte le auto importate negli Usa e prodotte all’estero, e anche una serie di componenti. Il nuovo 25% si aggiungerà a barriere del 2,5% già presenti sulle auto estere e al 25% esistente sui light truck, i veicoli classificati come autocarri leggeri e fino a 3.860 kg di peso. La Ue ha oggi dazi sulle auto Usa del 10 per cento.
L’eccezione ai nuovi dazi Usa sulle parti è temporanea e limitata a quelle che provengono da Messico e Canada e coperte dall’accordo di libero scambio nordamericano, ha precisato la Casa Bianca. L’esenzione sarà attiva finchè il Dipartimento al Commercio non avrà stabilito “un processo per applicare tariffe al contenuto non-Usa”. Alcuni funzionari governativi, nella confusione, hanno poi spiegato che in pratica questa eccezione dovrebbe riguardare content e materiali con origine Usa e incorporati in vetture finite in Canada e Messico.
Le dimensioni del colpo al settore auto sono nei numeri: circa metà della auto vendute negli Usa ogni anno, quasi 8 milioni per un valore di 244 miliardi, sono oggi assemblati fuori dai confini, stando a S&P Global Mobility. Il Messico è il principale esportatore sul mercato Usa, con modelli prodotti da marchi internazionali da Toyota a Nissan, da Bmw a Volkswagen. I marchi Usa non sono immuni: Gm assembla all’estero il 40% dei veicoli venduti in Usa, Ford il 20 per cento. A livello di paesi esportatori di auto, alle spalle del Messico ci sono Corea del Sud, Giappone, Canada, Germania, Gran Bretagna. Anche per quanto riguarda le componenti, il 60% arriva dall’estero.
La Ue appare particolarmente vulnerabile. Gli Usa sono il suo principale mercato per l’export di auto, pari a quasi un quarto del totale delle esportazioni del settore. Nel 2024 la case europee hanno inviato oltreoceano veicoli per 38,4 miliardi di euro.
I dazi entreranno in vigore il 2 aprile, assieme a tariffe reciproche che il Presidente ha nuovamente minacciato per tutti i paesi partner e non solo per il 15% con i maggiori surplus commerciali, e cominceranno a essere rastrellate dal giorno dopo, il 3 aprile. Nel caso di Messico e Canada dovrebbe anche sommarsi ai già annunicati dazi del 25% su tutto l’import annunciati e sospesi fino al 2 aprile.
“Tutti coloro che hanno impianti negli Usa saranno avvantaggiati”, ha detto il Presidente, citando quale ragione dei dazi una reindustrializzazione americana. “Credo che la nostra industria dell’auto fiorirà come mai prima”, ha aggiunto. I critici sottolineano che l’effetto sarà invece piuttosto quello di alzare significativamente i prezzi per i consumatori, mentre ogni rafforzamento industriali resta tutto da dimostrare. Wedbush ha stimato che aumenteranno i prezzi medi dei veicoli tra i cinquemila e i 10.000 dollari e definito i dazi del 25% come “un uragano” sul settore anzitutto per i produttori stranieri. Bernstein ha calcolato costi aggiuntivi annuali per la case auto da 75 miliardi.
Dure le reazioni internazionali, dal Canada dove il premier Mark Carney ha parlato di “violazione e tradimento” degli accordi commerciali a Bruxelles, che si è definita delusa. Per il Canada auto e componentistica rappresentano il 10% del manifatturiero, 125.000 posti di lavoro, con fino al 90% della produzione che viene esportata anzitutto verso gli Usa. In Messico l’auto conta per il 5% del Pil, generando un export da 181 miliardi di dollari, e impiega un milione di lavoratori.
In Borsa, nel dopo mercato, sono caduti i titoli del settore già sotto pressione per le indiscrezioni sull’arrivo dei dazi. Gm ha ceduto un ulteriore 8%, Ford e Stellantis il 5 per cento.
Nel clima di escalation delle guerre commerciali Trump ha offerto un potenziale spiraglio sui prossimi dazi reciproci: ha detto che saranno “inferiori alle tariffe che altri paesi ci hanno applicato per decenni”.

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