Fonte: Huffington Post
di Lucia Annunziata
Il Movimento 5 Stelle vince a Roma e a Torino, con due giovani donne, e la loro vittoria sana uno strappo nella nostra democrazia avvenuto nel 2013.
Il tentativo, cominciato proprio in quella data, da parte dell’establishment italiano di tenere ai margini della politica il M5S, sollevando i fantasmi del populismo e della instabilità, si è infranto tre anni dopo sulla stessa onda e sugli stessi umori di allora da parte degli elettori. Con numeri tali da fare impallidire qualunque scetticismo, e qualunque calcolo di bottega. Al Pd in particolare, tentato in queste ore di salvare il salvabile circoscrivendo lo spazio del successo M5S, va ricordato che l’ora della politica dello struzzo è finita. Con sufficiente sicurezza si può dire che con gli umori che attraversano oggi le urne, il referendum sulle riforme di ottobre è destinato a sicuro insuccesso. E con sicurezza maggiore si può anche azzardare a dire che se si votasse oggi per le politiche, sulla base di questi risultati Palazzo Chigi sarebbe perso per Matteo Renzi.
Per il Premier, insomma, non è stata una buona nottata. Al solito, si aprirà ora dentro e fuori del governo, dentro e fuori del Pd, il solito, lungo, complesso e noioso processo alle colpe e responsabilità. Immaginiamo che sarà, come sempre, un bizantino gioco di altisonanti principi e colpi bassissimi. Ce ne occuperemo anche noi, come è inevitabile che i giornalisti facciano. Ma in questi primi momenti, a risultati ancora caldi, penso sia il caso di mantenere ancora per un poco uno sguardo più largo, tornando di nuovo a quel 2013, anno di inizio della storia che stiamo ancora vivendo.
Nelle politiche di quell’anno nessuno dei due vincitori delle elezioni, né il Pd di Bersani, né il Movimento 5 Stelle ottenne l’incarico di formare il governo. Il successo del Movimento Cinque Stelle, divenuto dal nulla il primo partito italiano, spaventò l’establishment italiano a tal punto da provocare una isterica campagna nazionale contro il populismo, contro il rischio di ingovernabilità per il paese, contro il danno per l’Europa.
Portando, in nome della superiore difesa degli interessi nazionali, a un incarico istituzionale, quello di Enrico Letta, con un forte carattere di “avocazione” delle scelte popolari. Una forzatura politica che se non illegittima certamente ha portato il paese in una fase di incredibile confusione delle sue strategie, dei suoi programmi e dei suoi assetti politici e parlamentari.
Comincia allora la storia che ancora viviamo. Comincia allora il tentativo di contenere i Cinque Stelle, ma comincia allora anche l’agonia ufficiale del Pd inteso come Ditta. Comincia lì’ la scalata a Palazzo Chigi di Matteo Renzi, ma anche la liquefazione del parlamento appena votato.
Tre anni dopo, il voto appena concluso, dimostra che il tentativo avviato nel 2013 non ha affatto stabilizzato il Paese. La crisi iniziata allora è ancora tutta qui. La piattaforma antisistema deliM5S ha parlato alla disillusione, alla rabbia, al senso di ingiustizia dei cittadini italiani, soprattutto i giovani, meglio di qualunque altro partito. Partiti che a loro volta in questi tre anni, dal Pd a Forza Italia, alla Lega, hanno continuato a perdere identità e forza. Né riesce a consolidarsi il progetto dell’uomo che meglio di tutti ha provato in questo periodo, in tutti i modi, a catalizzare le nuove energie politiche del paese: Matteo Renzi.
L’Italia insomma è ancora molto lontana dall’aver trovato un diverso approdo. Né l’Italia è sola nella sua condizione. La battaglia al suo interno, il distacco fra cittadini e politica, la rabbia di cui si nutre lo scontro fra sistema e antisistema attraversa tutte le nazioni dell’Occidente, incluse quelle che voteranno in questa stessa settimana, l’Inghilterra sul Brexit e la Spagna sul governo.
Ma un errore c’è stato in Italia che non potrà essere ripetuto – la logica del 2013, quella che ha portato le classi dirigenti a non prestare orecchio a quel che saliva dalle urne. Se questo voto di rottura e cambiamento, se il grido “onestà, onestà” che ha accolto a Roma la Raggi, verranno di nuovo affrontati con la tentazione di derubricarlo come facile estremismo della plebe, il rischio per l’Italia diventerà serio.