Le famiglie più abbienti hanno spostato la spesa che prima era destinata alla cultura verso il lusso (e semmai, curiosamente, verso l’arte contemporanea)
I lettori calano, aumenta l’incidenza dei lettori forti e a definire i lettori forti non sono l’istruzione né il reddito, ma il genere (le donne leggono molto di più) e l’età:secondo l’Istat il 96 per cento dei ragazzi e delle ragazze tra i 4 e i 14 anni legge almeno un libro non scolastico all’anno. Dopo, perdono l’abitudine. Da questi dati parte un interessante dossier della rivista «Vita e Pensiero» sulla povertà culturale delle élites in Italia. Chiamati a discuterne: Paola Dubini, Goffredo Fofi, Franco la Cecla, Giuseppe Lupo, Massimo Panarari. Dubini ricorda un celebre saggio datato 1979 e intitolato La distinzione, in cui il sociologo francese Pierre Bourdieu affermava che i consumi culturali definiscono (definivano) l’habitus delle classi superiori: era un modo per distinguersi e per esercitare potere orientando il gusto delle altre classi.
Oggi? I numeri ci dicono che non è più così. Le famiglie più abbienti hanno spostato la spesa che prima era destinata alla cultura verso il lusso (e semmai, curiosamente, verso l’arte contemporanea). È male? È bene? È un dato di fatto che, salvo per il peso del portafogli (come scrive Fofi), i ricchi non si distinguono dalle classi medie. Si aggiunga quello che La Cecla individua come «il disprezzo per la ricerca e per il bello» già presente tra gli scrittori e gli artisti, concentratissimi sui risultati di mercato più che sull’autentico lavoro creativo o culturale.