Fonte: La Stampa
Nata in Egitto, viveva da anni al Gratosoglio con i genitori e tre fratelli minori che non sospettavano nulla. In contatto con il membro del Califfato Al Najjar Abdallah Hasanayn
Una 22enne egiziana residente a Milano è stata espulsa dall’Italia per terrorismo su ordine del ministro dell’Interno Marco Minniti. Fatma Ashraf Shawky Fahmy in regola con il permesso di soggiorno, era incensurata e senza lavoro e sognava un attentato nel nostro Paese. Un proposito che ha portato dritto all’espulsione avvenuta lo scorso 22 luglio.
Fino al giorno prima la ragazza italo-egiziana chattava e usava il suo tablet per mettersi al servizio del Califfato. La ragazza, che non aveva nessun precedente penale né alcuna segnalazione, viveva nel quartiere Gratosoglio, alla periferia sud-ovest di Milano, insieme ai genitori e a tre fratelli minori che hanno notato la radicalizzazione e la trasformazione da seconda generazione a candidata attivista ma non erano a conoscenza delle sue volontà di trasformarsi in martire.
Secondo le indagini della Digos era in contatto con il membro dell’Isis Al Najjar Abdallah Hasanayn, al quale ha prima chiesto di poter raggiungere la Siria per combattere e, di fronte alle difficoltà del piano, si è detta disponibile a un attentato suicida in Italia, senza mai ricevere risposte. Per il pericolo di attentati e per precauzione si è scelta la strada dell’espulsione e non quella giudiziaria.
Tutto nel giro di poche settimane, dopo l’inchiesta-lampo della polizia e sotto intercettazione di telefono e tablet e la scoperta di nessuna cellula attiva la decisione del Viminale del rimpatrio in Egitto.
Un particolare ha incuriosito gli investigatori: oltre alla propria famiglia, la donna non aveva rapporti con altre persone se non con una vicina di casa e anche le utenze telefoniche a lei intestate non facevano emergere altre chiamate se non quelle, rare, con i congiunti.
Tutto il tempo però lo trascorreva davanti al computer e su siti internet dedicati, come hanno confermato anche fonti di intelligence e le indagini della sezione antiterrorismo della Digos. Sicuramente una stranezza per una ragazza così giovane.
Per gli inquirenti, il suo percorso di radicalizzazione è stato evidente: nel 2013 era occidentalizzata, sia nel vestiario che nel comportamento, mentre durante il periodo delle attività investigative indossava il niqab completo di guanti neri. Il dress-code delle donne sotto le insegne di Daesh.