22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Ilario Lombardo

Il premier a Washington: “Trump ci aiuti a frenare l’espansionismo di Macron”

C’è tanta Libia nelle aspettative di Giuseppe Conte al suo primo viaggio a Washington, due mesi dopo l’inattesa nomina a Palazzo Chigi. La Libia come terra di transito e di partenze dei migranti verso l’Italia. Ma la Libia anche come crocevia di importanti business. Atterrato ieri sera negli Stati Uniti, il presidente del Consiglio italiano varcherà il portone d’onore della Casa Bianca con una short list di richieste per Donald Trump. La più importante: una “cabina di regia permanente per il Mediterraneo”, così definita dal premier, tra Usa e Italia, da attuarsi attraverso i reciproci ministri degli Esteri e della Difesa, per unire le forze contro il terrorismo e rafforzare la sicurezza nell’area. Conte chiederà esplicitamente a Trump di legittimare l’Italia come “interlocutore privilegiato” degli americani sulla Libia e punto di riferimento in Europa. Una partita che si gioca sulla stabilizzazione del Paese nordafricano e sulla sfida con la Francia dell’attivissimo Emmanuel Macron, deciso a portare i libici alle urne il 10 dicembre, come stabilito durante il vertice di primavera a Parigi, nel pieno del vuoto di potere post-elettorale a Roma. E’ anche e soprattutto per contrastare le mire geopolitiche del presidente francese e per neutralizzare i risultati di quel summit, che Conte chiederà di formalizzare questo ruolo dell’Italia attraverso l’appoggio dell’amministrazione Trump alla Conferenza sulla Libia che si terrà nel nostro Paese, proprio allo scopo di studiare un percorso di maggiore sicurezza verso le elezioni. Servirà più tempo, più uomini, più soldi, per far sedere allo stesso tavolo le tribù e le fazioni in lotta tra di loro, da Tripoli fino al vasto territorio dell’ex Cirenaica in mano al generale Haftar.
L’intesa con il presidente americano Donald Trump, o la “simpatia”, come la definisce Conte, è nata subito, al G7 degli inizi di giugno in Canada, su una comune base populista e la percezione di una distanza di fondo dagli altri leader mondiali. Conte era stato scelto appena qualche giorno prima dai grillo-leghisti come portavoce di un contratto che anche sulla politica estera cerca una difficile sintesi. L’Italia dei sovranisti ha molte questioni aperte, con l’Europa, con la Russia, sul Mediterraneo. La strategia di Palazzo Chigi sembra sempre più prediligire l’alleanza a due con Washington, anche a scapito della famiglia europea. Anzi, Conte si considera un “facilitatore” in grado di mediare tra gli Stati Uniti e Bruxelles, in un momento non proprio esaltante dei loro rapporti.
L’Italia sembra muoversi da sola, come a marcare una differenza dai partner del Vecchio Continente, senza troppo preoccuparsi dei rischi di isolamento. Anche sul fronte commerciale, il governo gialloverde era pronto, e lo è ancora, a cercare una scorciatoia per mettersi al riparo dai dazi Usa. Con Trump, Conte si dichiarerà “soddisfatto dell’accordo raggiunto” con la Casa Bianca dal presidente della commissione europea Jean Claude Juncker, che a Washington la scorsa settimana è riuscito a strappare una tregua nella guerra commerciale. Ma il premier chiederà anche ulteriori “garanzie perché non vengano toccati gli interessi delle aziende italiane” in particolare “nell’agroalimentare e nel settore delle auto di lusso”. Insomma, Conte vorrebbe continuare a muoversi su un parallelo canale bilaterale con gli Usa, pur sapendo che gli americani vorranno in cambio qualcosa. Una o più prove di fedeltà e di amicizia. Sulle missioni internazionali (vedi Afghanistan), sulle armi (vedi F35), sugli interessi energetici (vedi il gasdotto Tap, che per la Casa Bianca va completato, senza troppi ripensamenti).

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