20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

Per il capo del governo «pensano solo all’interesse nazionale»


«Forse bisogna cominciare a parlare con più franchezza: tutti. E dirci che ormai l’Europa è un po’ nuda. La vuota retorica europeista non basta più». Giuseppe Conte è reduce dal vertice di Davos, in Svizzera.
Conte è tornato lasciandosi dietro una scia di dubbi sulle critiche abrasive rivolte all’Unione Europea e agli effetti depressivi che l’euro, a suo avviso, avrebbe avuto sulle economie del Vecchio continente, e in particolare sulla nostra: sebbene in realtà l’Italia non cresca da oltre vent’anni, dunque da prima dell’introduzione della moneta unica. E colpisce che a mostrarsi esasperato sia proprio lui, il presidente del Consiglio che ha mediato tenacemente con la Commissione europea. E ha evitato che la manovra finanziaria abbozzata dalla maggioranza Movimento Cinque Stella-Lega provocasse l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia considerata quasi inevitabile.
L’asse franco-tedesco rispuntato negli ultimi giorni, con l’ipotesi di un seggio alla Germania nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la copertura di Emmanuel Macron, ha fatto saltare l’ultimo simulacro di tregua. E adesso Conte rivendica un ruolo di pungolo e di critica nei confronti di intese che tagliano fuori il nostro Paese. Nell’analisi che descrive l’Italia isolata in Europa non si riconosce. «Basta vedere la mia foto con la cancelliera Angela Merkel per capire che non è così», sostiene. «Ma certo i nostri alleati non possono pensare che ce ne stiamo seduti a tavola in silenzio, a sottoscrivere decisioni prese dagli altri», aggiunge.
«Perché devo partecipare a un vertice se hanno già fatto tutto?», dice con una foga piuttosto inusuale per lui. «Mesi fa, a giugno, quando alla fine di un summit europeo mi comunicarono che una mediazione era stata raggiunta, li tenni bloccati per ore. E spiegai al presidente francese Macron e alla cancelliera Merkel che se non era raggiunta in mia presenza, la mediazione per me non valeva…». Nelle sue parole non c’è, assicura, una messa in mora dell’appartenenza alla moneta unica, né tanto meno un distacco dall’Unione. Anzi. «Il mio governo non vuole uscire dall’euro, non vuole attaccare le istituzioni europee. E ho chiesto piuttosto che l’Italia non sia lasciata sola. L’ho detto perché è l’unico modo per volere bene davvero al nostro continente».
A sentire Conte, da tempo i problemi vengono elusi, non affrontati. «E invece a questo punto vanno guardati in faccia. E invito i nostri alleati a fare lo stesso. Questa campagna per le Europee sarà la più importante degli ultimi anni…». La goccia è stata la scoperta di un asse diplomatico franco-tedesco per assicurare a Berlino un seggio permanente all’Onu. «È dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso che abbiamo aderito all’idea di attribuire un seggio all’Unione Europea, e non a uno degli Stati membri», ricorda il premier . «E invece, qualche giorno fa ci siamo ritrovati con la firma del trattato di Aquisgrana tra Berlino e Parigi. Il seggio permanente alla Germania, in quel Trattato, è indicato come una priorità…».
Una provocazione? «No, è un impegno giuridico, e un obiettivo di politica estera che emargina l’Europa», risponde. «Ma come, non si era detto sempre di darlo all’Europa? Ma allora ci state prendendo in giro. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu risponde a un’architettura per la quale i posti con diritto di veto andavano ai vincitori della Seconda guerra mondiale. La Germania la guerra mondiale l’ha vinta o l’ha persa?», si chiede retoricamente. A Conte brucia la prospettiva che l’Italia possa essere declassata. Anche se non è chiaro il ruolo negativo che in questo avvitamento hanno avuto gli ultimi governi italiani, compreso l’attuale.
Ma è difficile contestare l’inquilino di Palazzo Chigi, espressione del populismo della maggioranza M5S-Lega, quando denuncia «una retorica europeista che nasconde il perseguimento di interessi nazionali. La verità è che abbiamo colto Germania e Francia con le dita nella marmellata». E qui, il premier analizza le altre «gocce nazionaliste» che stanno esasperando i rapporti tra i ventisei membri dell’Ue. Parla del caso Fincantieri, e dell’incognita dei titoli derivati nella pancia delle casse di risparmio tedesche. «Vi pare normale che mentre tutti si consolidano e noi siamo invasi da aziende straniere, una volta che Fincantieri si muove interviene l’antitrust francese per cercare di bloccare l’operazione?», chiede Conte.
E si risponde: «Queste cose dobbiamo dirle, e a voce alta. Se non interveniamo, avremo una responsabilità storica per avere taciuto. Non accetto l’idea che, avendo il sessanta per cento dei consensi tra le italiane e gli italiani, dobbiamo fare i parenti poveri. Nessun governo in Europa ha un gradimento come il nostro». Il presidente del Consiglio contesta anche la versione di chi lo raffigura isolato. A sentire lui è il contrario: soprattutto in termini di popolarità. «A Davos», racconta, «ho avuto tanti di quegli impegni e colloqui che non avevo tempo nemmeno di andare al bagno, tra il presidente del Brasile Jair Bolsonaro e la Merkel. E qualche giorno fa, alla giornata inaugurale di Matera Capitale europea della Cultura 2019, la gente mi ha accolto in modo così caloroso che quasi mi ha strappato i vestiti…».
Il presidente del Consiglio difende perfino la previsione di una crescita del Prodotto interno lordo che, secondo lui, potrebbe arrivare all’1,5 per cento nel 2019: previsione a dir poco azzardata, secondo gli istituti finanziari. Ma Conte dice di confidare nel secondo semestre dell’anno. «Sono pronto a scommettere che ce la possiamo fare», dichiara. E c’è solo da sperare che questa fede sconfinata nel futuro non sia smentita traumaticamente da una realtà avara di prospettive di ripresa.

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