20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Michelangelo Borrillo

«La pandemia e il piano di rilancio e resilienza richiedono nuove professionalità e nuove forme di lavoro. Nuove professionalità richiedono investimenti e nuove regole. Questo è quello che oggi stiamo cominciando: ci tengo a confronto e dialogo». Sono le parole con cui il premier Mario Draghi, nella sala verde di Palazzo Chigi, ha introdotto la firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. Un patto firmato dal ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri che prevede il rinnovo del contratto (con 107 euro in più) e l’individuazione di una disciplina del lavoro agile (smart working) per via contrattuale.

Il settore pubblico «come motore» della società
«Innanzitutto — ha esordito Draghi nel suo discorso — grazie a tutti voi. Nel corso delle consultazioni ho avuto modo di esprimervi quanto tenga a questo confronto e a questo dialogo. Oggi è la prima occasione formale di incontro dopo la formazione del governo e vi ringrazio molto. Voglio ringraziare il ministro Brunetta, che ha preparato questo patto. Grazie ancora alle Confederazioni qui presenti. Il buon funzionamento del settore pubblico è al centro del buon funzionamento della società. Se il primo funziona, funziona anche la seconda. In caso contrario, la società diventa più fragile, più ingiusta. Per questo bisogna considerare questo ruolo centrale delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici. Questo è ancor più vero con la pandemia, se pensate alla capacità e al sacrificio dei medici, degli infermieri, degli insegnanti, delle forze dell’ordine, del personale degli enti territoriali e statali nel fornire i servizi essenziali».

La valorizzazione del personale
Il patto stabilisce che coesione sociale e creazione di buona occupazione saranno i pilastri di ogni riforma e di ogni investimento pubblico previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nello specifico, gli obiettivi sono quattro: riconoscere alla Pubblica amministrazione il ruolo centrale di motore di sviluppo e catalizzatore della ripresa perché la semplificazione dei processi e un massiccio investimento in capitale umano sono strumenti indispensabili per attenuare le disparità storiche del Paese, curare le ferite causate dalla pandemia e offrire risposte ai cittadini adeguate ai bisogni. In secondo luogo, assicurare la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori nell’innovazione dei settori pubblici, sostenuta dagli investimenti in digitalizzazione e avviare, inoltre, una nuova stagione di relazioni sindacali che punti sul confronto con le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori e porti a compimento i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021.
Valorizzare, infine, il personale pubblico in servizio e stabilire il diritto-dovere soggettivo di ogni pubblico dipendente alla formazione. Il personale pubblico, quindi, va valorizzato. E su questo Draghi, che ha fornito anche dei numeri, è stato chiaro: «A fronte della centralità del settore pubblico, con riferimento alla situazione attuale, c’è veramente molto da fare. Partiamo da due numeri: l’età media oggi dei dipendenti pubblici è di quasi 51 anni, mentre venti anni fa era di 43 anni e mezzo. Dal punto di vista demografico, quindi, per ragioni che trovano la loro radice in eventi anche lontani, c’è stato un progressivo indebolimento della struttura demografica della pubblica amministrazione».
Anche per questo il governo emanerà in tempi brevi gli atti di indirizzo all’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni) per il riavvio della stagione contrattuale: i rinnovi interessano 3,2 milioni di dipendenti pubblici per un aumento medio di circa 107 euro. Con l’importante novità che saltano i limiti indicati nel 2017 ai premi di produttività nella Pubblica amministrazione. I rinnovi contrattuali 2019-2021 di 3,2 milioni di dipendenti pubblici prevedono un aumento medio a regime di circa 107 euro, considerando tutto il personale statale compresi i dirigenti, secondo i calcoli dell’Aran già elaborati sulla base delle risorse stanziate nelle relative tre leggi di Bilancio: risorse che ammontano a 1,1 miliardi per il 2019, 1,750 miliardi per il 2020 e 3,775 miliardi per il 2021 (al lordo dell’elemento perequativo, un “cuscinetto” per i redditi più bassi). Un incremento poco sopra il 4%. Depurandolo dall’elemento perequativo, l’incremento si riduce al 3,8%, a circa 100 euro.

Lo smart working nel contratto
Nei futuri contratti collettivi nazionali del pubblico impiego, inoltre, sarà definita una disciplina normativa ed economica del lavoro agile (smart working) che superi l’attuale assetto emergenziale — al momento lo stato di emergenza è fissato fino al prossimo 30 aprile e consente il ricorso «semplificato» ovvero senza la necessità di un accordo — garantendo condizioni di lavoro trasparenti e conciliando le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con quelle delle pubbliche amministrazioni. «Il confronto in sede Aran — si legge nel patto firmato tra le parti — sarà l’occasione per definire le linee di intervento sullo smart working perché si eviti una iper regolamentazione legislativa e vi sia più spazio per la contrattazione di adattare alle esigenze delle diverse funzioni queste nuove forme di lavoro che, laddove ben organizzate, hanno consentito la continuità di importanti servizi pubblici anche durante la fase pandemica». Si guarderà anche alla disciplina, nell’ambito dei prossimi contratti 2019-2021, di temi come il diritto alla disconnessione, alla formazione specifica, alla protezione dei dati personali. Lo smart working, insieme al rinnovo, è uno dei sei punti in cui si articola il patto. Gli altri quattro sono: la revisione dei sistemi di classificazione professionale; la formazione del personale; i sistemi di partecipazione sindacale; il welfare contrattuale.

Le nuove professionalità e competenze
Attraverso i contratti del 2019-2021 si provvederà alla successiva rivisitazione degli ordinamenti professionali del personale, adeguando la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze. E saranno disegnate politiche formative di ampio respiro, con particolare riferimento alle competenze informatiche e digitali e a specifiche competenze avanzate di carattere professionale. Sarà infine valorizzato il ruolo della contrattazione integrativa e saranno implementati gli istituti di welfare contrattuale, anche con riferimento al sostegno alla genitorialità e all’estensione al pubblico impiego delle agevolazioni fiscali già riconosciute al settore privato per la previdenza complementare e i sistemi di premialità.

L’investimento in formazione
C’è un altro aspetto su cui Draghi ha insistito molto: la formazione. «Oggi — ha sottolineato il premier — si spendono “ben” 48 euro a persona per la formazione del settore pubblico: ho detto “ben” ironicamente. E un solo giorno è destinato alla formazione del personale pubblico. In questa situazione dobbiamo considerare due eventi. Primo: la pandemia ci ha fatto riflettere su tanti aspetti del nostro modo di vivere, ma certamente ci ha rivelato la centralità del settore pubblico nel proteggere il nostro modo di vita. Nel proteggere la qualità della nostra vita. Il secondo è il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Questi eventi richiedono nuove professionalità, investimenti in formazione e nuove forme di lavoro. Se pensiamo allo sviluppo del lavoro in smart working, vediamo come è cambiato il nostro modo di lavorare; nuove professionalità richiedono investimenti e nuove regole. Questo è il percorso che stiamo iniziando oggi. Il patto è sicuramente un evento di grande importanza per il metodo, per il contenuto, per questa relazione di dialogo che c’è. Ma è, ricordiamocelo, il primo passo. Molto, se non quasi tutto, resta da fare. Ed è con l’augurio che sapremo tener fede al contenuto di questo piano, alle aspettative e alle promesse di questo piano, che vi ringrazio di nuovo tutti, per oggi. Grazie».

La soddisfazione dei sindacati e di Brunetta
Parole che ovviamente sono piaciute ai sindacati. «Non si tratta solo di concertazione su temi generali — ha sottolineato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini — qui si contratta sulle cose concrete, specifiche. Dal punto di vista politico non ci sono dubbi: come ai tempi del governo Ciampi, giunge dal governo Draghi una esplicita volontà di dialogo con i sindacati». Considerazioni che fanno da eco a quelle del ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta: «La firma di oggi assegna alla coesione sociale non una semplice ripetizione retorica, ma un valore fondante di uno Stato che si rinnova, si modernizza sul valore della persona e della partecipazione. Puntare sulle persone al servizio dello Stato deve significare guardare avanti, insieme, più forti», ha spiegato il ministro facendo sapere ai sindacati ch la prima convocazione per avviare il rinnovo contrattuale è fissata per venerdì 12 marzo. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il segretario generale Cisl Luigi Sbarra: «È un accordo che guarda al presente per vincere la sfida immediata della pandemia e della crisi occupazionale cogliendo appieno le difficoltà per rispondere immediatamente ai bisogni della società. E guarda anche al futuro perché punta su un rinnovato ruolo della Pa come motore propulsivo del rinnovamento e l’innovazione del Paese». «In uno stato democratico — ha aggiunto il segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri — la Pa garantisce ogni giorno i servizi essenziali: ecco perché rafforzare i servizi pubblici significa garantire pari opportunità e pari diritti».

Il precedente di Ciampi
Il riferimento alla pace sociale di Ciampi riporta al 23 luglio del 1993, quando l’allora presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi e il ministro del Lavoro, Gino Giugni, siglarono il «Protocollo per la politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo», un accordo storico con i sindacati e le associazioni imprenditoriali — tanto da essere definito il modello a due livelli, nazionale e integrativo, aziendale o territoriale — che pose fine a due anni di aspri conflitti sancendo il criterio della concertazione delle parti sociali e fissando le regole della contrattazione. Quell’insieme di norme avviò la stagione della politica dei redditi, stabilendo la coerenza dei comportamenti contrattuali con il rispetto dei diritti collettivi e degli obiettivi macroeconomici di riduzione rapida del debito e dell’inflazione, in linea con i parametri del Trattato di Maastricht. L’accordo, rispettato con lealtà, consentì all’economia di tornare a crescere. L’auspicio è che possa avvenire anche oggi.

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