Si può scendere in piazza e manifestare «contro» senza spaccare tutto. Si può far cadere un governo o addirittura un presidente senza lasciare una carta per terra o devastare una vetrina
Piccola riflessione sulla maturità dei popoli. Si può scendere in piazza e manifestare «contro» (l’oggetto può essere aggiunto a piacere) senza spaccare tutto. Si può far cadere un governo o addirittura un presidente senza lasciare una carta per terra o devastare una vetrina. In Corea del Sud è successo proprio questo. Un milione di cittadini hanno mostrato la loro disistima verso il capo dello Stato – autore di un disgraziatissimo tentativo di sovvertire la democrazia – manifestando con civiltà il proprio pensiero e nessuno si è fatto male. O meglio: il presidente Yoon Suk-yeol ha dovuto inchinarsi alla volontà popolare. Ma il Paese ha continuato a funzionare come nulla fosse.
La conseguenza di un’istruzione collettiva fondata sulle dure regole confuciane? No, non in questo caso almeno. I sudcoreani hanno sperimentato in passato il controllo militare delle loro vite, la violenza, gli arresti arbitrari. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso, le loro strade erano percorse da giovani (e meno giovani) arrabbiati che si scontravano con le forze dell’ordine. Le città erano insicure. La vita era difficile. Poi è arrivata la democrazia e il rispetto delle differenti visioni della politica.
In 40 anni questo sistema ha preso il sopravvento ed è stato assimilato perché è il migliore a disposizione dell’umanità, almeno per ora. Ha portato il miracolo economico e il benessere. I cittadini – e qui c’è una lezione da imparare – si sono dimostrati più maturi di uomini e donne al vertice delle istituzioni. Per una volta il vento d’Oriente ha portato una rivoluzione senza effetti collaterali spiacevoli. Teniamolo presente.