19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Gaggi

L’Italia tra le promesse di aiuto arrivate dagli Stati Uniti e la partita geopolitica cinese

Nella sua ora più tragica l’Italia si è sentita abbandonata dai Paesi che le sono più vicini: partner europei e America. Gli aiuti sono arrivati in aereo dalla Cina, dalla Russia, perfino da Cuba. Poco da Usa e Ue: l’Europa allenta i vincoli di bilancio, ma c’è chi tira il freno. Gli aerei di Donald Trump erano solo quelli della nostra Pattuglia acrobatica che tracciano in cielo il tricolore nel video postato su Twitter: parole d’amore per l’Italia. Parole fino a ieri. Ora il presidente promette aiuti.
Quando tutto questo sarà finito, ci sarà tanto da ricostruire: l’economia, le strutture sanitarie, i rapporti politici e commerciali internazionali, la fiducia tra i popoli. Oggi prevale il risentimento, soprattutto nei confronti di Paesi alleati e amici dai quali ci saremmo aspettati qualcosa di più nel momento più drammatico. È arrivato ben poco, anche perché questa è una crisi planetaria che sta travolgendo gli stessi Stati Uniti. Qui a New York, la gente ha guardato attonita per giorni i servizi dalle città martoriate della Lombardia, ha letto i nostri numeri raccapriccianti con un misto di compassione e terrore, consapevole che stava scivolando verso un destino analogo. Ora rivede le stesse scene: l’ospedale di Elmhurst in Queens sopraffatto come il Giovanni XXIII di Bergamo, i morti portati via coi camion frigoriferi, i sanitari che si ammalano, la carenza di equipaggiamenti, i caduti che aumentano anche tra i soccorritori: medici, infermieri, poliziotti. In più ci sono solo le tende dell’ospedale militare montato in mezzo a Central Park, il giardino dei ricchi della Terra che diventa tempio della sofferenza.
Il «non dobbiamo fare come l’Italia» dei giorni scorsi non risuona più: ora sono come noi. Ci ha fatto indignare, ma non era una critica: solo parole d’angoscia di chi sentiva di rivivere qui la tragedia italiana al rallentatore. Non sono mai mancati la compassione e il dolore per il Paese divenuto capofila di questa via crucis. Anche riconoscenza. Te lo dicono in tanti: «Abbiamo fatto gli stessi errori nonostante quello che ci avete insegnato».
Certo, la solidarietà non pompa ossigeno nei polmoni dei malati e si può essere tentati di rispedirla al mittente, visto che viene da un Paese il cui attuale presidente ha reso l’Atlantico più largo alimentando conflitti con amici e alleati e imponendo la dottrina dell’America First: è, così, evaporata la credibilità degli Stati Uniti come Paese-guida capace di pensare al bene comune in termini sovranazionali. Ma l’anomalia di un leader che esercita i poteri presidenziali seguendo una logica mercantilistica non dovrebbe mettere in discussione il legame tra Stati Uniti ed Italia che è profondo, consolidato nella storia dei due Paesi.
Ricostruire non sarà facile: oltre a falciare vite, Covid-19 sta scavando abissi economici. Bisogna evitare che diventino anche abissi politici e umani. Qui pesano le responsabilità di un trumpismo che esalta le tendenze nazionaliste e isolazioniste e spinge gli americani ad esprimere in modo ancor più radicale la loro tendenza all’individualismo e a vivere l’economia di mercato come una partita spietata. Trump ha assestato colpi gravi alle relazioni transatlantiche tra guerre commerciali, dispute sulla Nato e attacchi alla già precaria solidarietà dell’Unione Europea. E ha indebolito il sistema di garanzie sul quale si regge la democrazia americana. Guardo con disagio le conferenze stampa della Casa Bianca: Trump accetta domande anche dure, ma poi replica con argomenti propagandistici e brutalità verbali, mentre fa impressione la deferenza dei collaboratori che lo circondano, in certi momenti quasi di sapore nordcoreano. Poi, però, la memoria va a una conferenza stampa congiuntura Obama-Xi Jinping di qualche anno fa quando alla garbata e protocollare domanda di un giornalista americano, il presidente cinese risposte con uno stupito silenzio: non riusciva nemmeno a prendere in considerazione la possibilità di un contraddittorio con la stampa.
Quanto a Pechino, va sicuramente ringraziata per l’aiuto che sta dando. Ma ci sono sempre tre cose da tenere presente: 1) La Cina è la principale responsabile di questa epidemia e di altre che l’hanno preceduta. Nella fase più acuta ha avuto aiuti dall’Europa: fa la cosa giusta ricambiando ora che la sua emergenza sta rientrando. 2) Anche volendo, l’America farebbe fatica a inviarci equipaggiamenti sanitari ormai prodotti prevalentemente, e a volte esclusivamente, in Cina. 3) Il soccorso di Pechino ai Paesi in difficoltà non comincia col coronavirus: dall’Africa alla Grecia, l’assistenza finanziaria e infrastrutturale cinese va avanti da anni e riguarda aree sempre più vaste. Con un piano ben preciso di espansione dell’influenza geopolitica cinese nel mondo.

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