19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Lucrezia Reichlin

La competizione tra Paesi non sarà eliminata, ma ci sarà una forte motivazione a ripensare a livello europeo la società in cui vogliamo vivere, all’equilibrio ambientale e sociale e a un’idea di sostenibilità più ampia

È legittimo attendersi di più dall’Europa dinnanzi a una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo a causa del Covid-19. Non solo per ragioni etiche, ma per la necessità improcrastinabile che s’impone all’Europa: preservare sé stessa. L’Unione non può sopravvivere senza una rete di mutuo supporto più solida di quella che abbiamo, soprattutto in un caso come questo, quando siamo tutti colpiti da una calamità esterna e non prevedibile. Ma per aprire una discussione costruttiva con i nostri partners europei dobbiamo mantenere lucidità. L’Europa è una federazione imperfetta: un insieme di Stati con governi eletti a livello nazionale, che devono rispondere, quindi, a questi elettori per le decisioni di bilancio, ma anche con strumenti federali. Questi ultimi però hanno limitata capacità di spesa, tranne uno, la Banca Centrale Europea (Bce). Pertanto quando, come in queste ore, si chiede, genericamente, solidarietà all’Europa, si aprono due fronti diversi. Il primo è una trattativa politica tra Paesi.
Questa trattativa è resa particolarmente difficile dal fatto che la pandemia è comune, ma le condizioni di fragilità relativa dei Paesi non lo sono. In particolare, le condizioni pregresse dei conti pubblici in alcuni Paesi — per esempio in Italia — implicano che l’ intervento necessario a sostegno di imprese e cittadini genereranno un livello di debito che li renderà vulnerabili per anni a meno di una ripartenza della crescita a tassi superiori di quelli a cui il debito si rifinanzia. Ma la difficoltà deriva anche dal fatto che questa crisi comporterà costi immensi per tutti con la conseguenza che ogni governo è oggi più che mai soggetto allo scrutinio severo dei suoi elettori e quindi restio ad offrire garanzie incondizionate ad altri Paesi.
L’altro fronte è l’esigenza che l’Europa costruisca nuovi strumenti per combattere una crisi da cui sarà più facile uscire con uno sforzo comune. Con la recessione mondiale del 2008 e poi nel 2010, con la crisi del debito, ci siamo trovati impreparati non tanto per una generica mancanza di solidarietà — alla Grecia l’Europa ha finito per prestare circa 300 miliardi di euro a tassi sussidiati — ma quanto per una mancanza di strumenti adeguati. In quel contesto si fecero passi avanti nella costruzione di altri pezzi della casa comune, l’unione bancaria prima di tutto ma anche il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Oggi — di fronte ad una crisi di natura diversa — questo non basta. Abbiamo bisogno di costruire un altro pezzo del governo dell’euro. Non è semplice.
Oggi tutti i Paesi hanno bisogno di impiegare risorse per l’emergenza e per la ricostruzione nel prossimo futuro. Questo potrà essere solo fatto a debito ed è importante, per aumentare la capacità di spesa dell’intera Unione e quindi moltiplicarne l’effetto, che almeno una parte di questo debito — la parte dedicata ad affrontare gli effetti della comune pandemia e allo sforzo di ricostruzione — possa usufruire di condizioni di finanziamento basse garantite dall’insieme dei Paesi. A questo fine bisogna lavorare affinché la Bce sia affiancata da uno strumento di bilancio a livello europeo che garantisca questo obbiettivo. Il Mes potrebbe mutare in questo senso, anche se per ora un’ipotesi del genere non sembra essere condivisa da tutti i Paesi. Chiaramente uno strumento di questo tipo — come gli Eurobonds — implica una forma di mutualizzazione del debito e questo non è un passo scontato anche per le differenze storiche tra i Paesi Ue sugli orientamenti delle politiche di bilancio. Dinnanzi alle difficoltà delle autorità politiche europee la Bce, anche se con qualche esitazione iniziale, ha agito in modo deciso e si rivela, una volta di più, essere la sola istituzione capace di agire in nome dell’intera Europa. Oggi, forse, l’azione della Bce può essere sufficiente, ma dobbiamo sapere che prima o poi sarà necessario che le autorità politiche si assumano le loro responsabilità perché il potere della banca centrale, se pur immenso, si basa sull’appoggio dell’autorità sovrana, cioè del potere eletto. Senza un consenso politico ampio la capacità di agire della Bce raggiungerà un limite.
Ma prendiamo le distanze dalla discussione immediata e pensiamo alla ricostruzione dopo l’emergenza. È chiaro che il mondo dopo questa crisi sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto e la ricostruzione andrà pensata in modo nuovo.
Certo la competizione tra Paesi non sarà eliminata, ma vedo una forte motivazione a ripensare a livello europeo la società in cui vogliamo vivere, all’equilibrio ambientale e sociale e a un’idea di sostenibilità più ampia. Sarò sicuramente accusata di romanticismo europeista, ma sono convinta che percorrere questa strada sarà più facile se fatto attraverso programmed idee (oltre che risorse) che si basano sulla ricchezza della storia politica europea e che si avvantaggino, migliorandolo, dello spazio comune che abbiamo creato in 60 anni di negoziazione e cooperazione.

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