22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Giovanni Cagnoli


È tempo di decidere come uscirne. Per quanto tragici, i dati sugli effetti della diffusione del Coronavirus vanno affrontati e il piano d’uscita avviato subito e gestito in base alle informazioni via via disponibili e, date le circostanze, alle inferenze. Ma non sempre, almeno in Italia, comunicazione e scelte sembra siano state fin qui coerenti con gli uni e con le altre. Sappiamo che la malattia colpisce tutti, non solo gli anziani. Sono gli esiti dell’infezione a essere molto diversi. Nei Paesi dove si fanno tanti tamponi (Germania, Corea, Austria, Norvegia) i dati sono inequivocabili: i contagiati sono distribuiti abbastanza omogeneamente per classi di età. Affermare tuttavia che i giovani sono a rischio è capzioso. Sotto i 50 anni il tasso di mortalità senza patologie pregresse è molto vicino allo zero, meno di 0,1%.
Tra i 50 e i 60 anni la mortalità sale ma non come dichiarato e scritto dall’Istituto di Sanità del 1,2%. Questo è un dato sbagliato che trae in inganno e può portare a decisioni sbagliate. La mortalità del 1,2% (110 casi in Italia su 4.000 all’epoca di pubblicazione dei dati) si riferisce al rapporto dei decessi su casi riscontrati. Poiché è evidente anzi eclatante che i casi riscontrati (al 21 marzo 50 mila circa in Italia) sono un sottoinsieme molto basso della realtà, la mortalità vera ha numeratore certo e denominatore incerto o meglio certamente sottostimato. In base ai dati raccolti in alcuni Paesi europei il ratio decessi su un numero più realistico di infettati può essere stimato tra 1:400 e 1:600. Ne deriva che in Italia al 22 marzo il numero di persone entrate in contatto con il virus era di circa 2 milioni, più di due terzi in modo inconsapevole.
Volendo guardare allo scenario peggiore indicato dai grafici, se il virus si sviluppasse al Sud come al Nord rischierebbero la vita 50 mila concittadini. Molti meno, ma non meno di 20 mila, se il contenimento funzionasse davvero e se un piccolo aiuto (non dimostrato) arrivasse dall’alzarsi delle temperature. Ma l’esodo provocato dalla fuga di notizie sabato 7 marzo rischia di portare a più decessi di quanti ne scongiuri la proibizione delle corsette. Siamo a 6 mila decessi, inutile parlare di picco o altro. Meglio prepararci alla realtà dei fatti. È irrealistico pensare di «azzerare» il contagio, con l’isolamento. I servizi essenziali (alimentari, sanità, elettricità, rifiuti, comunicazioni, logistica ) non sono comprimibili e implicano un’ulteriore diffusione del contagio.
Cosa fare, dunque? Mio padre era un medico e diceva sempre che quando un medico prende una decisione rischia una vita. Quando si sbaglia il prezzo è terribile. La difesa degli operatori sanitari che prendono decisioni tremende ogni giorno è sacra. Leviamoci tutti il cappello in silenzio. Proprio per rispetto a loro e ai decessi dobbiamo fare bene le scelte per la ricostruzione. Per ridurre i casi giornalieri in Italia a 100 o 200 da questi livelli occorrerà ancora del tempo forse fino a metà o fine del mese di maggio. Inutile illudere gli italiani. Quando inizieremo a tornare a vivere normalmente? Ben oltre il picco purtroppo. Ci diranno «ma non si può fare diversamente». Non è assolutamente vero. Si può eccome se si vuole e se si ha il coraggio delle proprie decisioni. Se si è davvero come Churchill o come il Draghi di «whatever it takes».
La mia proposta è questa: distinguere la popolazione in tre fasce per altrettanti protocolli: fino a 55 anni (verde). Da 55 a 65 (giallo). Oltre i 65 (rosso). Lo fanno in Israele, dove la competenza in tema di emergenze è indiscussa. Per gli over 65, le misure di protezione drastiche. Va organizzato da subito, come servizio essenziale, il recapito a casa della spesa. Fatto da 30enni, volontari o meno. Per la fascia 55-65 rientro in azienda o in ufficio dilazionato di almeno un mese. Fino a 55 anni tempistica certa e dichiarata di ritorno graduale all’attività. Il 6 aprile potrebbero riaprire le aziende. L’apertura definitiva sarà il 14 aprile dopo Pasqua. Se ci saranno ancora casi (sicuro) si cercherà di gestirli al meglio. Il 6 aprile potrebbero essere riaperte le corsette domenicali per dare un segnale. Il 21 aprile potrebbe essere la volta di negozi, bar e ristoranti, con l’obbligo di distanza. Il 2 maggio si potrebbero togliere le limitazioni di spostamento per tutti e riaprire le scuole. Quanto all’andamento dell’epidemia, ogni giorno i dati andranno discussi in base allo scostamento dalle previsioni. Impariamo a prevedere azioni correttive. Se emergono novità di scenario tali da sconvolgere il programma (cure, vaccino, mutazioni genetiche, decessi ), si adegua il passo. Si fa così nelle organizzazioni complesse, ogni giorno. Un numero ristretto di persone competenti si assume le responsabilità.
Infine, chiarezza immediata in queste due settimane del programma di sostegno ai privati e alle aziende. Uno slogan unico e totalizzante , fortissimo e coinvolgente per lavoro , impresa, sindacati, banche. Al 1° settembre 2020 tutte le aziende e imprese italiane saranno vive e pronte alla ripresa come lo erano al 1° febbraio 2020. Tutti, nessuno escluso, costi quel che costi. Le proposte sono un «back stop» dello stato per le perdite su crediti delle aziende con apertura di credito rapida, non burocratica per tutte le imprese che ne abbiano bisogno eliminando i vincoli di capitale delle banche. Sostegno al reddito per tutti i lavoratori. Sostegno alle nostre banche senza nazionalizzazioni ne oggi né mai concordando le stesse azioni con l’Europa. Golden rule per acquisizioni dall’estero di società quotate.

I debiti

Se disperdiamo anche una minima parte del capitale umano, imprenditoriale, know how, capacità produttiva, presenza sul mercato per questo stop, il conto di 300 miliardi sarà ripartito su un numero minore di soggetti e l’aliquota sarà maggiore, forse anche impossibile da pagare, nello scenario peggiore può anche darsi che la competizione internazionale venga a prendersi pezzi di Italia stroncati della nostra insipienza, non dal Coronavirus. i soldi per questa manovra li troveremo ma non saranno regalati. Saranno i privati, i cittadini e le imprese stesse che sono state aiutati a doverli restituire nei prossimi 20 anni di impegno e lavoro. Sbaglieremo qualcosa? Pazienza. In queste stime, ho messo in conto 50 miliardi di errori, furbetti che approfitteranno, qualche brutto episodio da scovare e punire duramente. Il tempo vale di più della perfezione e l’ottimo è nemico del bene. Azzeccarci subito all’80%-90% è meglio che aspettare due mesi e poi fare giusto al 95%. In emergenza, ai leader viene chiesto di saper prendere decisioni rapide, giuste e di assumersi le responsabilità delle conseguenze che definiranno l’essenza stessa del nostro vivere sociale, della nostra geo-politica, dei nostri diritti e dei nostri doveri, soppesando con enorme difficoltà costi e benefici spesso su piani diversi come la salute e l’occupazione tra 1 anno. Sbagliare adesso sarà terribilmente costoso in futuro.

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