22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

C’è un’Italia che aspetta con fiducia e ansia di ricevere indicazioni e strumenti anche finanziari. Ne ha avuti molti a parole, pochissimi nei fatti


Il ritardo sta assumendo dimensioni sconfortanti. Il premier Giuseppe Conte aveva detto che si sarebbe fatto il possibile per approvare il cosiddetto Decreto Rilancio alla fine della settimana scorsa. Ma accorgendosi che non è bastato sta correndo ai ripari. Così è possibile che la trattativa delle ultime ore pieghi le resistenze del «suo» M5S, che passa di rigidità in rigidità, scaricando sull’esecutivo le proprie contorsioni identitarie. Prima c’è stata, e in parte rimane, l’ostilità al Mes: nonostante i profondi e positivi cambiamenti che ha subìto.
Nelle ultime ore è spuntato il «no» alla sanatoria per i migranti irregolari: uno scarto che sembra attribuibile soprattutto al timore di offrire argomenti alla propaganda di una Lega in discesa nei sondaggi. Non è del tutto sicuro nemmeno che i provvedimenti arrivino in Consiglio dei ministri oggi, benché ieri notte si parlasse di accordo a portata di mano. E così, misure che già sono complicate per l’eterogeneità e l’ampiezza della platea dei potenziali beneficiari, potrebbero essere rinviate ulteriormente. Né rassicura la mole del decreto, che si aggirerebbe intorno alle cinquecento pagine: un manifesto involontario a interpretazioni discordanti e a una visione confusa della Fase 2. Il rischio concreto è che la farraginosità delle norme impedisca la loro applicazione tempestiva, contraddicendo l’impegno solenne di Palazzo Chigi a dare risposte rapide. Già lo slittamento da aprile a maggio ha trasmesso l’impressione di un’indecisione palpabile.

Tutte le misure del nuovo decreto
I tormenti delle ultime ore aggiungono perplessità sulla capacità di gestire l’uscita dall’emergenza in modo convincente. Non mancano le attenuanti della burocrazia, dei diversi livelli decisionali, di vecchi vizi: anche se ad esempio sul pasticcio del prezzo delle mascherine protettive l’esistenza di un commissario ad hoc non ha garantito né efficienza né rapidità. C’è tuttavia un’Italia che aspetta con fiducia e ansia di ricevere indicazioni e strumenti anche finanziari per provare a ripartire. Finora, ne ha avuti molti e abbondanti a parole, pochissimi nei fatti. Al loro posto, hanno fatto irruzione a intermittenza partiti della coalizione pronti a conficcare nel decreto le proprie «bandierine», come picadores che infilzano il toro durante la corrida per indebolirlo prima del colpo finale del torero. E invece, si tratta di misure che vanno prese presto e bene, per rianimare il sistema produttivo e restituire fiducia alle famiglie, non per dissanguare ulteriormente l’economia. Non solo le polemiche ma la perdita di tempo equivalgono a moltiplicare e aggravare le ferite sociali provocate dal coronavirus. E gonfiano lo scontro tra governo nazionale e regioni sui tempi della riapertura: tanto più se il conflitto si consuma con le giunte di centrodestra, da nord a sud.
Per il leader leghista Matteo Salvini diventa più facile additare le liti nella maggioranza e velare la crisi della sua strategia del muro contro muro. La riapertura di molte delle attività il 18 maggio prossimo, decisa ieri pomeriggio dopo una teleconferenza tra il premier e i governatori, placa solo momentaneamente un contrasto destinato probabilmente a riproporsi nei prossimi giorni. Con simili premesse, può apparire quasi stucchevole ma è inevitabile chiedere un sussulto di responsabilità alle forze di maggioranza e a quanti nell’opposizione dovranno contribuire a migliorare il provvedimento. Immaginare adesso una crisi di governo al buio o un voto anticipato si conferma, oltre che azzardato, inutile. Ma a nutrire il nervosismo contribuisce l’incapacità di Palazzo Chigi a superare un eccesso di mediazione che lo mostra prigioniero di una specie di nuovo contratto, stavolta non formalizzato, tra i partiti della coalizione: forse dimenticando che quello tra M5S e Lega è finito male, insieme col primo governo Conte. La fase che si apre richiede un approccio nuovo e alleanze chiare, non i pasticci al ribasso del passato.

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