22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

È la nuova frontiera nella lotta al Covid-19. È l’esame del sangue utile a rilevare la presenza di anticorpi che accertano l’avvenuto contatto con il virus


I primi in Veneto hanno iniziato a sperimentarlo da pochi giorni: il risultato è in un’ora, il costo intorno ai 10 euro. Fino a 100 mila medici e infermieri veneti saranno sottoposti al test sierologico, poi la sperimentazione sarà estesa a una fascia più ampia della popolazione. È la nuova frontiera nella lotta al Covid-19. È l’esame del sangue utile a rilevare la presenza di anticorpi che accertano l’avvenuto contatto con il virus (il contagio viene espresso dagli IgM) e la successiva risposta di difesa contro lo stesso (l’immunizzazione che è segnalata dagli IgG). Le analisi servono, per riassumerla con le parole del governatore Luca Zaia, ad avere la «patente di immunità». Individuare chi ha già contratto il coronavirus — ma magari l’ha avuto in modo asintomatico piuttosto che senza l’evidenza di un tampone positivo — viene considerato un tassello fondamentale per la ripartenza. Chi sappiamo che non rischia più di ammalarsi potrà tornare al lavoro con tranquillità. Dall’altro lato, se la valutazione viene sbagliata, il rischio è fare carne da macello.

La sperimentazione
Il Veneto acquista il test della ditta cinese Snibe Diagnostics, commercializzato in Italia da Medical Systems: è il primo kit certificato Ce arrivato in Italia e può essere eseguito con macchinari già presenti nei principali laboratori del Veneto. Lo stanno sperimentando i laboratori di microbiologia dell’azienda ospedaliera universitaria di Padova: «I dati di specificità e sensibilità dichiarati e derivanti da questi studi appaiono molto soddisfacenti — scrivono Mario Plebani e Giuseppe Lippi, alla guida dei laboratori di analisi di Padova e di Verona —. Sono necessarie, in ogni caso, ulteriori prove una casistica più rappresentativa».

I tipi di test sul mercato
È d’obbligo un chiarimento: il test sierologico è differente dall’ormai noto tampone. Il primo certifica l’eventuale immunità al virus (con effetto retroattivo), il secondo dice se in un determinato momento la malattia è in corso. Lo stesso test sierologico si differenzia in due categorie: quello eseguito prendendo una gocciolina di sangue dal dito (risultato in 15 minuti, costo dai 4,80 euro ai 10); l’altro eseguito con esami del sangue veri e propri. Spiega Roberto Rigoli, vicepresidente dell’Associazione dei microbiologi clinici italiani, nonché alla guida del laboratorio di microbiologia dell’Ussl 2 di Treviso: «Di test fast ce ne sono una miriade, tra cui la maggior parte sono porcherie. Il loro rischio è di risultati falsi negativi: ci dicono, cioè, che una persona non ha ancora sviluppato gli anticorpi al virus, mentre può essere al suo massimo di contagiosità. L’abbiamo verificando facendo l’esame su pazienti positivi ricoverati in ospedale. Dopodiché abbiamo trovato anche un paio di test rapidi validi su cui stiamo lavorando».

La prudenza lombarda
Cosa sta facendo su questo fronte la Lombardia è riassunto dalle parole di Fausto Baldanti, virologo del Policlinico San Matteo di Pavia, considerato una massima autorità nel campo: «Siamo al lavoro. Stiamo testando almeno 100 proposte commerciali. Ma è necessario del tempo. Correre è rischioso — dice —. Bisogna trovare un test sierologico valido. Il pericolo è di considerare immuni persone che in realtà possono ammalarsi o contagiare ancora gli altri». Sulla stessa linea Giovanni Rezza dell’Istituto superiore di Sanità.

Un confronto impari
Le differenze tra Veneto e Lombardia non si fermano al test sierologico. Al 31 marzo in Veneto sono stati effettuati 2.165 tamponi ogni 100 mila abitanti, in Lombardia 1.139. Il tasso di ricoveri in Veneto è di 41,5 ogni 100 mila abitanti, in Lombardia di 131,3. Il tasso di decessi: 9,7 contro 71,6. Insomma: il Veneto sta adottando strategie migliori della Lombardia? «La realtà è che il Veneto ha dovuto fronteggiare un temporale, la Lombardia uno tsunami — spiega Danilo Cereda, responsabile delle Malattie infettive dell’Unità di crisi di Regione Lombardia —. La situazione lombarda al 24 febbraio è già di una diffusione importante del Covid-19 nel Lodigiano e, in parte, nel resto della Regione, e non solo in un singolo cluster localizzato come in Veneto (Vo’ Euganeo). L’Ente europeo per il controllo delle malattie infettive (Ecdc) è chiaro: la Lombardia ha vissuto lo scenario più grave in cui l’esecuzione del tampone di massa non sarebbe stata utile. Mentre era fondamentale procedere alle misure di contenimento sociale. Un confronto tra le azioni delle due Regioni dev’essere fatto alla luce delle diverse situazioni». I dati: il 25 febbraio la Lombardia ha 231 contagi, il Veneto 42. Il 3 marzo 1.326 contro 297. Tutta un’altra storia.

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