22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Tina Simoniello

La ricerca dell’Università Cattolica: 4 su 10 valutano la vaccinazione contro sars-cov-2 ”per niente probabile” o tra ”probabile e non probabile”. Pensionati e studenti tra i più motivati a vaccinarsi. “Urgente campagna contro fake news”

Pensavamo che il mondo aspettasse con ansia il vaccino contro Covid19 e scopriamo che, a quanto pare, mezza Italia – quasi mezza Italia, il 41 % per l’esattezza – al vaccino non ci pensa proprio. Lo scopriamo grazie ai risultati di una ricerca dell’EngageMinds HUB dell’Università Cattolica che dicono che un’ampia fetta della popolazione, più di 4 italiani su 10 “colloca la propria propensione a una futura vaccinazione tra il ‘per niente probabile’ o a metà tra ‘probabile e non probabile’. Che fuori dal linguaggio dei sondaggi significa che 4 italiani su 10, quando questo vaccino l’avremo a disposizione, tendenzialmente non se lo farà. Gli altri 6 invece sì: il 59% degli italiani molto probabilmente o abbastanza probabilmente si vaccinerà. O almeno così stanno le cose oggi.
La ricerca è stata realizzata tra il 12 e il 18 maggio tramite interviste con metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview) su un campione di 1000 persone, rappresentativo di tutta la popolazione italiana, nell’ambito del progetto Craft della Cattolica di Cremona. Sulla propensione a vaccinarsi gli italiani sono piuttosto omogenei: lo scostamento tra le diverse aree del nostro Paese sono modeste, infatti, rispetto al dato nazionale, la propensione a non vaccinarsi risulta maggiore nel Centro Italia, ma solo di un paio di punti percentuali (43%).
Ma chi sono i 6 italiani su 10 propensi a vaccinarsi (o così dicono oggi) e quelli che non lo sono? «In generale, sono meno esitanti nei confronti della vaccinazione i più giovani col 34% contro il 41% del totale campione, e i più anziani col 29% contro il 41% del totale campione – dice Guendalina Graffigna, ordinario di Psicologia dei consumi e direttore del centro di ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica e responsabile della ricerca–. Più dubbiose invece risultano le persone tra i 35 e i 59 anni (48% contro il 41% del totale campione). Dalla ricerca non emergono particolari accentuazioni sulla base della professione: i pensionati e gli studenti si confermano meno diffidenti verso il vaccino, più esitanti gli operai e impiegati, e imprenditori nella media».
Ma se a dividere gli italiani sulla vaccinazione anticovid non è il territorio e non è nemmeno tanto lo status economico e sociale, la psicologia invece sembra contare. «È così. Infatti Se confrontiamo le percentuali di chi è poco propenso a vaccinarsi fra i diversi sottogruppi del campione, si nota che chi è fatalista nella “gestione” della salute, e ritiene che il rischio di contagio da Sars-CoV-2 sia fuori dal suo controllo, è ancora più esitante rispetto alla possibilità di vaccinarsi (57% contro il 41% del totale). Mentre al contrario chi è più “ingaggiato”, cioè coinvolto attivamente nella gestione della propria salute, risulta più positivo e propenso verso la somministrazione del vaccino», ragiona la psicologa.
Ma a fare la differenza è anche la considerazione della vaccinazione come atto di responsabilità sociale. «E’ così – dice Graffigna – Chi ha un approccio più individualista ed egoista nei confronti della gestione della salute e non ritiene che vaccinarsi sia un atto di responsabilità sociale tende a essere ancora più evitante verso l’ipotesi di un futuro programma vaccinale per Covid-19: parliamo di un 71% contro il 41% del totale. Al contrario, decisamente più propensi della media sono coloro che ritengono che i loro comportamenti abbiano un valore importante per la salute collettiva».
«Questi dati sono un campanello d’allarme di cui tenere conto – è la riflessione di Graffigna – soprattutto perché segnalano la necessità di iniziare sin da subito una campagna di educazione e sensibilizzazione per aiutare a comprendere l’importanza di vaccinarsi contro la Covid19. Non si tratta solo di diffondere informazioni o di combattere fake news sui vaccini ma di mettersi nei panni di coloro che vanno formati, e cioè partire dalle loro preoccupazioni e aspettative di conoscenza e dalle loro domande per aprirsi a un dialogo costruttivo tra scienza e cittadinanza finalizzato a rassicurare e a sostenere il cambiamento profondo di atteggiamento. Ciò che va sostenuto, prima ancora di un atteggiamento positivo verso i vaccini, è la maturazione di un migliore coinvolgimento attivo, di engagement, verso la salute e la prevenzione – conclude la responsabile dello studio -, che passa dalla comprensione di come ogni nostra azione preventiva sia un atto di responsabilità sociale verso la salute della collettività».
Ma la psicologia è mutevole, e quella sociale in particolare. Non potrebbe quindi essere che gli italiani che oggi si dichiarano poco o affatto propensi a vaccinarsi, quando il vaccino sarà finalmente disponibile cambino idea? Non sarà, insomma, che quando sarà reale la possibilità di ricominciare a scandire le nostre esistenze in settimane, mesi e stagioni e non più in fasi 1, 2 eccetera, quei 4 italiani su 10 il vaccino se lo faranno come gli altri 6? «Certo, le opinioni possono cambiare, anzi devono cambiare in questo caso – è la risposta dell’esperta – . Ma i nostri dati sono importanti per le istituzioni che dovrebbero rendersi conto che il dibattito intorno al Covid, anche il dibattito economico, sta disorientando la popolazione che perde fiducia, pure nei confronti del vaccino. Dall’incrocio dei dati che abbiamo raccolto risulta che gli italiani che non vogliono vaccinarsi percepiscono che la vaccinazione non sia efficace per risolvere il problema Covid. Il fatto è preoccupante perché sappiamo che l’immunità di gregge si ottiene quando circa il 95% dei soggetti è immunizzato»

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