20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Fulvio Sano

Macchinario cinese validato nelle zone rosse del Lazio e distribuito da Medica Group. Regione, protocollo autorizzato: se è negativo, risultato affidabile al 100%


Una puntura sul dito, tre gocce di sangue, 8 minuti di attesa. La formula è chiara, il risultato affidabile, le controindicazioni nulle. All’esterno del presidio sanitario Casilino, di proprietà di Medica Group, viene data dimostrazione del test rapido di diagnosi del Covid-19. È quello sperimentato a Nerola, Contigliano e al Nomentana Hospital su un protocollo dello Spallanzani e Tor Vergata autorizzato dalla Regione. Ha dato risultati ottimi su oltre 600 test: in caso di negatività è attendibile al 100 per cento, in caso di positività al 95%. Come un tampone, ma immediato. Prodotto dalla cinese Sichuan Xinhen Biological co. e già dotato di certificazione CE per entrare in commercio dal 3 marzo, si è atteso finora a presentarlo per incrociarne i dati con quelli dei tamponi e delle analisi del sangue su fasce di popolazione selezionate nella zone rosse.
La validazione scientifica ha preceduto la trafila delle autorizzazioni amministrative, ma entro un paio di giorni potrebbe cominciarne la distribuzione in ospedali, presidi medici e Asl. D’intesa con la giunta del Lazio, il macchinario verrà fornito in comodato d’uso gratuito a chi ne farà richiesta, mentre i singoli kit per il test, a carico del Servizio sanitario nel pubblico, verranno venduti a 18-20 euro l’uno ai privati (grandi aziende, laboratori) che ne facessero richiesta: «Abbiano una fornitura di un milione di pezzi al mese. Aspettiamo indicazioni dalla Regione», spiega Riccardo Starace, presidente di Medica Group che ha l’esclusiva per la distribuzione in Italia. «I test sierologici non devono diventare un business dei privati», avverte l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, riferendosi ad altri prodotti in commercio.
La dimostrazione a cui ci sottoponiamo viene svolta dal dottor Jean Dominic Bossone, membro del team che con il camper dell’Ordine dei medici ha svolto i test nelle zone rosse. Per primo c’è il pungidito: sarà il freddo di un pomeriggio piovoso o un po’ di ansia da suggestione che restringe i vasi sanguigni, ma dopo il pic (indolore) sulla punta del medio della mano destra serve premerlo un po’ per far uscire da un capillare le tre gocce di sangue. Che vengono aspirate in una piccola ampolla e riversate nella boccettina con il reagente. In termini tecnici lo screening si basa su un sistema «immunografico fluorescente» per la ricerca specifica nel sangue di Igm e IgG, i due valori che indicano rispettivamente la positività in corso o un contagio passato. Sopra una soglia di riferimento il test è positivo e indica anche quanto è risalente nel tempo il contagio ormai assorbito o in che fase si trova quello attualmente in corso. Agitata brevemente la boccettina, il liquido viene riversato nel test. È una barretta con un codice di riferimento che per dimensioni ricorda quelli di gravidanza.
Trascorso un tempo che deve oscillare tra i 7 e i 9 minuti, senza ulteriori interventi la barretta viene inserita nel lettore del macchinario vero e proprio, il Covid 19 Asf-1000. È grande quanto una cassetta della posta condominiale. Sulla parte superiore, blu e leggermente bombata, c’è un touch screen. Un tasto, fa comparire il risultato nella sua chiarezza senza possibili errori di interpretazione. L’altro tasto avvia la stampa di un simil scontrino che certifica quei valori. In questo caso entrambi negativi. Sul punto non c’è al momento una linea già definita dalle autorità sanitarie, ma la direzione è chiara: fornire la tanto discussa patente di immunità per accedere in sicurezza alla fase 2. I dati del test verrebbero immessi in una banca dati locale o nazionale in relazione alla tessera sanitaria di ognuno. Poi eventualmente esportati su una App.

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