Fonte: Corriere della Sera
di Giuseppe Sarcna
Il fisico Alessandro Vespignani, da Boston: impensabile che la vita torni come prima. Avremo misure rigorose per tutto. In Usa contagi sottostimati di 10 volte
Quanto durerà l’emergenza coronavirus negli Stati Uniti? «Almeno tre mesi, ma questo non significherà il ritorno completo alla normalità». Alessandro Vespignani, 55 anni, nato a Roma, fisico di formazione, è il direttore del Laboratory for the modeling of biological and Socio-technical Systems, alla Northeastern University di Boston. È uno dei massimi esperti di pandemie. Lo abbiamo sentito al telefono sull’asse Washington-Boston.
Fino a pochi giorni fa negli Stati Uniti il caso italiano era considerato lo scenario da incubo. Ora anche qui il coronavirus fa paura…
«Ho subito sostenuto che non esisteva un “caso italiano”. Il virus si è diffuso prima in alcuni Paesi e poi in altri, anche per ragioni legate al caso. Non so, un viaggiatore arrivato in un posto anziché in un altro. D’altra parte questa epidemia, in generale, ha un tasso di raddoppio del numero dei contagiati ogni 3-4 giorni. E quindi è solo una questione di tempo. Oggi New York si trova nella situazione in cui era l’Italia un paio di settimane fa. Il resto degli Stati Uniti tra un paio di settimane si troverà nella stessa posizione in cui è adesso New York. Non c’è differenza tra Wyoming e Manhattan, anche se è chiaro che i numeri vanno parametrati sulla densità di popolazione. Il circuito si può spezzare solo adottando severe misure di lockdown. Ma qui sembra che nessuno voglia imparare qualcosa dall’esperienza degli altri».
Negli Usa il numero di contagi accertati è pari a 160 mila. Qual è il numero reale?
«Considerando questi ritmi di diffusione penso che si debba moltiplicare per nove o per dieci».
Un milione e mezzo di contagiati…Il numero di vittime, per fortuna, sembra relativamente basso rispetto ai positivi. Perché?
«Ci sono diverse ragioni. Innanzitutto è un errore contare i morti in rapporto ai casi positivi. Non è quello il tasso di mortalità reale. In sostanza il numero di vittime che vediamo oggi si riferisce a persone che hanno contratto la malattia venti giorni fa. Se vogliamo fare un calcolo indicativo, dovremmo dunque rapportare questo numero alla quota dei contagiati dello stesso periodo, di venti giorni fa appunto. Poi c’è anche un problema di classificazione delle cause di morte. Ma in realtà i numeri più importanti riguardano gli ospedalizzati. Faccio l’esempio sull’Italia. L’età mediana dei deceduti è 80 anni, ma quella delle persone che finiscono in ospedale è di 60. Il che significa che anche le fasce più giovani della popolazione sono a rischio ricovero. Ecco perché gli ospedali possono essere travolti dalla pandemia».
utti si chiedono quanto durerà l’emergenza. La sua stima? «Negli Stati Uniti l’emergenza in senso stretto durerà almeno tre mesi. C’è un po’ di confusione su questa idea del picco. A volte si pensa che quando si raggiunge e si supera il picco, il peggio sia passato. Ma non è così, sei solo a metà strada. E il secondo tratto per scendere al livello di zero dei contagi è altrettanto insidioso di quello in salita. Non si possono allentare le misure di contenimento».
Che cosa succederà quando, tra giugno e luglio stando alla sua stima, si tornerà al livello zero?
«Il Covid-19 continuerà a circolare. I contagiati si riducono, ma il virus ci sarà ancora. E’ necessario, dunque, predisporre delle strategie per evitare di ricominciare daccapo. L’esempio è quello della Corea. Occorre una struttura sanitaria in grado di fare tamponi praticamente porta a porta. Sarà così fino a che non si trova il vaccino, ma ci vorranno altri 12-18 mesi».
Il coronavirus cambierà la nostra vita, le nostre abitudini, così come l’11 settembre le ha condizionate per altri aspetti? «Sì, in un certo senso sarà così. Non possiamo pensare di tornare a fare le stesse cose di prima, senza rigorose precauzioni».