22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Decisivo ricostruire i contatti e identificare i malati: il 18 maggio sarà valutato il decorso dell’epidemia. La Vecchia: «La crisi arretra ma serve ancora tempo»


Bisogna fissare una data. Diciotto maggio. Due settimane dalla fine (parziale) del lockdown. Nello scenario più favorevole, quello in cui l’epidemia riduce la sua potenza espansiva, su Milano ci saranno circa 2.000 contagi in più rispetto agli 8.491 di ieri. Nell’ipotesi peggiore invece, quella in cui l’epidemia riprende a salire con un indice di contagio di 1.3, a metà maggio si registrerà la cifra («catastrofica») di oltre 5 mila positivi in più rispetto agli attuali. Il fattore decisivo, in tutte le situazioni, dunque trasversale ai cinque scenari che la task force della Regione Lombardia ha elaborato e che il Corriere può raccontare (in un «Dataroom» di Milena Gabanelli), sarà quello dei «sommersi». La scissione che c’è stata anche nella prime fasi dell’epidemia: la distanza tra i positivi al coronavirus intercettati dal sistema sanitario e il numero reale dei contagiati con sintomi scarsi o nulli che però contribuiscono a diffondere il Covid-19.
Su questo punto, giocano anche i tempi della malattia: chi contrae il virus, ne manifesta i sintomi in media dopo 6/7 giorni, tempo che può salire a 14. Dunque anche il miglior sistema sanitario possibile non potrebbe in ogni caso far altro che cercare di intercettare il prima possibile i nuovi casi, che quando emergono però sono comunque già molto spostati in avanti rispetto a una diffusione del contagio rimasta ignota. «Il problema nelle epidemie è la catena dei contagi — spiega Carlo La Vecchia, epidemiologo e docente di statistica medica all’università “Statale” — e dunque prima di vedere cosa accadrà davvero dal 4 maggio in poi ci vorrà un mese. Lo scopriremo a giugno». Sulla storia recente del Covid esistono però conoscenze che permettono di fare alcune previsioni: «Sappiamo ad esempio — continua il professor La Vecchia — che sui luoghi di lavoro è avvenuta una quota non altissima di contagi, stimabile tra il 5 e il 9 per cento del totale. Il resto della trasmissione del virus è avvenuto di recente nelle case di riposo, negli ospedali e nelle famiglie. Dunque dalle attività produttive aperte non ci si aspetta un impatto così pesante».
Tra i cinque scenari, il terzo (più 3 mila contagi a Milano il 18 maggio, che diventerebbero 7 mila il primo giugno) è ritenuto in qualche modo «gestibile». Il quarto (più 4 mila contagi a metà maggio, più 10.500 a inizio giugno) diventerebbe già più che critico. Il peggiore infine (5 mila nuovi contagi tra due settimane e quasi 17 mila tra quattro) sballerebbe la soglia del catastrofico. Lo stesso scenario migliore (quello in cui l’epidemia riduce la sua forza e tra due settimane i nuovi positivi sono soltanto 1.200 in più di oggi), secondo il docente della Statale sarebbe comunque abbastanza sovrastimato: «La discesa è molto più forte di quello che appare. A fine marzo eravamo sopra i 500 decessi al giorno in Lombardia, oggi quel dato si è ridotto più di dieci volte, e dunque è probabile che tutti gli altri indicatori abbiano seguito la stessa contrazione. Lo vediamo anche negli ospedali, dove arrivano molti meno malati e si presentano prima, quindi in condizioni molto meno gravi». Gli elementi di maggior incognita restano un paio. Primo: il numero dei contagi (sul quale si baseranno anche le future decisioni politiche) è un dato di non totale affidabilità, sia per le fluttuazioni nell’effettuazione dei tamponi, sia per la difficoltà di intercettare l’epidemia «reale». E poi i mezzi pubblici: «Dove saranno fondamentali i controlli perché restano ancora un terreno poco conosciuto per la diffusione dell’epidemia».

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