Fonte: Corriere della Sera
di Beppe Severgnini
Quello che vale oggi nella clausura varrà domani nell’apertura: la somma delle risposte individuali diventerà reazione collettiva
E dopo cosa faremo? Come ci comporteremo? Ricorderemo l’improvvisa disciplina di cui siamo stati capaci — tutti insieme, con poche eccezioni — e ci ha consentito di evitare una tragedia peggiore? Non sappiamo quando, ma prima o poi l’emergenza terminerà: e sarà anche merito nostro. Di alcuni più di altri, certo. Pensate a medici e infermieri, a tutti quelli che sono usciti ogni mattina per andare a lavorare, con la mascherina in faccia e il cuore pesante.
Siamo stati sorprendenti, noi italiani, in questa stagione virale, anche per noi stessi. Sapremo sorprenderci ancora — e sorprendere l’Europa, per cui siamo stati il laboratorio sanitario e sociale — oppure torneremo agli automatismi e alle autoassoluzioni? Se così fosse, sarebbe grave. Perché non possiamo permettercelo.
Quello che vale oggi nella clausura varrà domani nell’apertura: la somma delle risposte individuali diventerà reazione collettiva. Non parliamo soltanto dei comportamenti precauzionali — le distanze, le attenzioni per evitare il contagio. Parliamo delle nostre decisioni quotidiane. Milioni di scelte personali segneranno la nuova vita pubblica.
Per esempio: chi premieremo con i nostri acquisti, nei prossimi mesi? Quando vediamo le sfilate di saracinesche abbassate, oggi, non possiamo non saperlo: dietro a ognuna ci sono spese e preoccupazioni. Una visita in più nei negozi, appena potremo farne, costituirà un incoraggiamento. I negozi alimentari di quartiere, invece, sono rimasti aperti: le nostre sentinelle di fronte al nemico che non si vedeva. Meritano di (ri)diventare un’abitudine, da aggiungere agli ipermercati: grazie a questi e a quelli.
Dove trascorreremo le prime vacanze? In Italia, speriamo. Sarà una decisione importante, perché accoglienza e ristorazione sono stati devastati dall’isolamento obbligatorio. Ogni albergo, ogni ristorante e ogni bar chiuso ha pagato affitti, spese e — almeno in parte — stipendi, senza incassare nulla. Festeggiamo da loro e con loro, quando potremo. Si può fare anche senza affollarsi, all’inizio, perché non vogliamo ricominciare da capo.
Quando il mondo dello spettacolo proverà a rialzarsi, sosteniamolo. Ho scritto ieri al teatro Franco Parenti di Milano, cui sono affezionato, prenotando un abbonamento 2020/2021: voglio esserci, quando piano piano ripartirà. Autori, attori, musicisti, registi, agenti, tecnici e amministratori hanno guadagnato qualche applauso, in queste settimane; soldi no, e non ne arriveranno per un po’. Saprà l’Italia dei troppi eventi diventare l’Italia dei buoni eventi? Stare insieme è terapeutico, ricordiamocelo.
A quali guadagni sapranno rinunciare, imprenditori e aziende, per sostenere dipendenti, collaboratori e professionisti che hanno lavorato in questo periodo, magari rischiando qualcosa? Alcune grandi gruppi — Giovanni Rana, Ferrero, Barilla, Heineken, Lactalis e altri — hanno deciso di premiare i lavoratori, e sono stati applauditi. Ma il momento è difficile per tutti: anche non togliere, quindi, è un regalo. Ma qualcuno, temo, sarà tentato di farlo.
A quali sussidi sapremo rinunciare, se potremo farne a meno? Ogni persona che non chiede aiuto allo Stato consente di aiutare meglio chi di aiuto ha bisogno: un euro in più, una richiesta di meno. In questa materia saremo chiamati a fornire una nuova, enorme prova di senso civico. Se parte la solita gara di egoismi e rivendicazioni, buonanotte.
Ci sono altre grandi decisioni che dovremo prendere, nei prossimi mesi. Saremo pronti a giustificare i tagli alla sanità, a perdonare gli evasori fiscali sistematici, a premiare i politici che li applaudono? Saremo indifferenti davanti al soffocamento delle facoltà di Medicina e delle scuole di specializzazione? Come tratteremo medici e infermieri, quando l’emergenza Covid sarà un ricordo? Saremo aggressivi in un pronto soccorso? Minacceremo — peggio: intenteremo — azioni legali contro medici e ospedali, per non averci consentito di essere immortali? Oppure ci ricorderemo delle facce stanche dietro le mascherine, e delle parole che alcuni hanno sussurrato agli anziani ricoverati, accompagnandoli all’uscita dal mondo?
Pensiamo a tutte queste cose, nelle settimane che mancano alla prima, cauta libera uscita. Il tempo l’abbiamo, e po’ di buon senso dovremmo averlo allenato.