Il problema della democrtazia italiana: governi istituzionalmente deboli ostaggi dei cangianti umori di fragili e assai poco coese maggioranze parlamentari
Ci sono due domande rispondendo alle quali diventa possibile chiarire quale sia la reale posta in gioco nella partita del Quirinale. La prima domanda è: perché alcuni auspicano e altri (a occhio, molti di più) temono che, una volta eletto il presidente della Repubblica, il governo Draghi lasci il posto — con o senza elezioni anticipate — a un altro governo questa volta totalmente controllato dai partiti? All’apparenza non ci sarebbe niente di male: non è forse la regola in democrazia? Perché l’eventualità che un governo siffatto si formi getta nello sconforto tanti italiani nonché chi, fuori d’Italia ci chiede stabilità e affidabilità? Questa prima domanda è collegata a una seconda: esiste un criterio, non banalmente moralistico, per distinguere la «buona politica» dalla «cattiva politica»?
La prima domanda mette in gioco l’eterna discussione sul cosiddetto «governo dei tecnici». Poco importa che il suddetto sia un animale inesistente , mitologico (come l’Unicorno o il Minotauro) . Poco importa che già all’inizio del Ventesimo secolo Benedetto Croce sbertucciasse chi non capiva che i governi dei tecnici non esistono. Il cosiddetto governo dei tecnici è semplicemente un governo guidato da un «intruso» (anche lui un politico ma che, per storia personale, non è stato allevato entro le consorterie politiche esistenti) . Se non che, l’intruso, soprattutto se di qualità, non è lì per uno scherzo del destino. È lì perché le consorterie in questione (i partiti), non sono state in grado di dare vita a soluzioni di governo efficienti, all’altezza della situazione di emergenza che il Paese deve fronteggiare. L’alternativa non è mai fra governo dei tecnici e governo «politico» o dei partiti. L’alternativa è solo fra governi all’altezza e governi non all’altezza. Nel caso di Draghi , data la sua storia personale, alla diffidenza dei partiti per l’intruso si somma l’ostilità di quelli che, tetragoni assertori di fossilizzate ideologie novecentesche (diffuse a sinistra come a destra), lo bollano come «uomo della finanza internazionale», longa manus dei «poteri forti» che reggono, a loro dire, i destini del mondo.
Ciò che temono coloro che guardano con preoccupazione a nuove combinazioni di governo senza più intrusi, è che i partiti in questa fase non siano in grado di dare vita a governi capaci di fronteggiare i problemi incombenti: irrobustire la ripresa economica in atto, tenere sotto controllo la pandemia, spendere in modo efficiente i fondi europei, fare le riforme necessarie eccetera.
Ciò ha a che fare con la seconda domanda: cosa distingue una buona da una cattiva politica? E perché sono (siamo) quasi tutti convinti che, non più tenuti a bada dall’intruso, difficilmente i partiti riuscirebbero a fare una buona politica?
Che cosa è una buona politica? È una politica in grado di mantenere un certo equilibrio fra la soddisfazione di interessi di breve termine e il perseguimento di interessi di medio-lungo termine. È una politica che rinuncia a consumare oggi tutte le uova disponibili (ne consuma solo alcune) in modo da avere qualche gallina domani.
Il punto debole delle democrazie è che in esse l’orizzonte temporale della politica è sempre relativamente ristretto, vincolato dalle scadenze elettorali e dai cambiamenti negli equilibri parlamentari. Gli autocrati, come il cinese Xi Jinping, non hanno gli stessi vincoli. Il loro orizzonte temporale è più ampio. La ristrettezza dell’orizzonte temporale in democrazia fa sì che i politici debbano sempre preoccuparsi di soddisfare interessi (partigiani) di breve termine, dare soddisfazione alle richieste qui e ora dei loro elettori. Coloro che, sotto sotto, lo sappiano o no, disprezzano la democrazia, li accusano di andare «a caccia di voti». È certo che lo fanno, ed è anche giusto. È questa l’essenza della democrazia. Il problema è un altro. La (necessaria, inevitabile) soddisfazione degli interessi partigiani, degli interessi a breve termine degli elettori, può essere resa compatibile, nell’azione di governo, con il perseguimento di obiettivi di più lungo respiro? La politica consuma qui e ora tutte le uova disponibili oppure ne lascia intatte alcune in modo che domani circoli qualche gallina?
La differenza fra una cattiva politica (vengono soddisfatti solo gli interessi a breve termine) e una buona politica (c’è equilibrio fra interessi a breve e a medio termine) non dipende dalla «bontà» o dalla «cattiveria» dei politici. Dipende dall’esistenza o meno di strutture e meccanismi che facilitino oppure ostacolino la buona politica.
Se l’orizzonte temporale della democrazia è necessariamente più ristretto di quello dei dispotismi, è ugualmente possibile, in certe condizioni, contemperare interessi di breve e medio termine. Ciò accade nell’uno o nell’altro di due casi. Se il sistema istituzionale premia la stabilità di governo e dà all’esecutivo, oltre che la durata (una legislatura o più), anche gli strumenti per attuare le sue politiche vincendo le resistenze dei tanti poteri di veto esistenti. Oppure se, in alternativa, esistono forti organizzazioni di partito in grado di dare continuità all’azione di governo e di perseguire, in virtù della loro forza, mete che non si risolvano solo nel soddisfacimento di interessi immediati.
Il problema della democrazia italiana è che non disponiamo né dell’una né dell’altra cosa. Continuiamo ad avere governi istituzionalmente deboli(in balia dei poteri di veto) e ostaggi dei cangianti umori di fragili e assai poco coese maggioranze parlamentari. Niente a che vedere con il sistema di governo britannico (il governo del Premier), con quello francese (il semi-presidenzialismo) o quelli tedesco o spagnolo (il Cancellierato). L’ultimo tentativo, quello di Matteo Renzi, di cambiare l’assetto di governo è stato seccamente affossato dagli elettori (referendum del 2016). D’altra parte, non ci sono nemmeno (non ci sono più) organizzazioni di partito forti, con solide culture politiche e un buon radicamento sociale. Mancando entrambe le condizioni, la «buona politica», quella che bilancia breve e medio termine, è quasi impossibile. Stiano al Quirinale o a Palazzo Chigi , alla democrazia italiana servono gli intrusi.