Fonte: Corriere della Sera
di Rita Querzè
«L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro». Questo il passaggio che il presidente del Consiglio Mario Draghi ha dedicato alla parità di genere nel mondo del lavoro. Qui i cinque principali divari da colmare.
1 – Lavoro domestico per il 75% a carico delle donne
Il primo riguarda la quantità di lavoro gratuito. Il 75% del lavoro domestico gratuito (dalle pulizie all’andare a prendere i figli a scuola) in Italia è svolto dalle donne. 315 minuti al giorno contro i 104 degli uomini. In Francia, Spagna, Germania il lavoro casalingo è diviso in più equo e la percentuale svolta dalle donne è del 62% in Francia e Germania, del 62,5% in Spagna.
2 – Lavoro pagato solo per una su due (e anche meno)
Le donne che fanno un lavoro retribuito sono meno di una su due, il 45%. Il tasso di occupazione femminile è diminuito durante la pandemia. La crisi sta colpendo infatti di più i settori dove le donne sono più presenti, a partire dalla macroarea dei servizi. Nel mese di dicembre sono stati persi 101 mila posti di lavoro, di questi 99 mila erano occupati da donne. Secondo l’Ocse il divario tra tasso di occupazione maschile e femminile in Italia è troppo alto: oggi si attesta sui 18 punti.
3 – Contratti precari più diffusi tra le donne
La fragilità del lavoro femminile è legato anche al fatto che le donne accettano più spesso posti cosiddetti flessibili con contratti a termine, di collaborazione o part time.
4 – Niente carriera al femminile (se non è la legge a mettere un obbligo)
Negli anni recenti, l’Italia ha aumentato significativamente la partecipazione delle donne nei consigli di amministrazione delle imprese. L’Italia ha introdotto quote di genere per le compagnie quotate (almeno il 33% dei membri del consiglio di amministrazione) e la proporzione di donne nei CdA è raddoppiata in pochi anni dal 15% nel 2013 al 30% del 2016. Secondo Draghi questo non è sufficiente. D’altra parte la legge riguarda solo le società quotate che sono una netta minoranza. Secondo l’Ocse le donne con ruoli dirigenziali in Italia sono il 27,8% contro il 33,2 della Spagna, il 34,6% della Francia, il 29,4 della Germania, il 28% della Grecia.
5 – Divario retributivo sia tra dipendenti che autonome
Gender pay gap: secondo i dati eurostat il pay gap in Italia è del 17,1% nel settore privato e del 3,2% nel pubblico. Si tratta di un male comune a molti altri paesi europei. Il pay gap nel privato è del 18,3% in Spagna e del 22,7% in Germania, del 21,3% nel Regno Unito, per fare un paio di esempi. La differenza è che molti Paesi europei hanno adottato una legge per limitare il fenomeno. Tra questi il Regno Unito e l’Islanda. Il pay gap è il risultato combinato di inserimento delle donne nelle funzioni aziendali meno retribuite, con orari più spesso ridotti e superminimi individuali più bassi o assenti. Diverse stime dicono che a parità di carriera, ruolo e anzianità il pay gap si aggira intorno al 5%. Diverse ricerche evidenziano come la disparità di trattamento sia evidente già a inizio carriera, tra le neolaureate. Con l’aumento dell’anzianità di servizio il gap si allarga soprattutto nelle posizioni di carriera più alte. Il tasso di lavoro autonomo in Italia è fra i più alti dei paesi Ocse (16% per le donne e 26% per gli uomini). Tuttavia, il divario di genere nel reddito da lavoro autonomo è molto ampio; le lavoratrici autonome italiane guadagnano 54% in meno dei lavoratori uomini secondo l’Ocse. Le autonome lavorano in settori meno profittevoli e lavorano meno ore degli uomini.