Fonte: La Stampa
di Marco Bresolin
Le Pen scopre le carte e annuncia un referendum, ma una ipotetica “Frexit” sarebbe molto diversa da “Brexit”: ecco perchè
Madame Le Pen ha scoperto le sue carte. L’annuncio del referendum per uscire dalla Ue (e dalla Nato) conferma un’intenzione nota da tempo, tutti sapevano che prima o poi sarebbe arrivato. Ma forse in pochi si aspettavano un’uscita netta così in anticipo, destinata a trascinare l’Europa al centro della campagna elettorale francese. Per molto tempo. Perché mancano ancora più di tre mesi all’elezione del nuovo Presidente francese (il primo turno sarà il 23 aprile, ma il ballottaggio è fissato per il 7 maggio) e sull’asse Bruxelles-Parigi, idem su quello tra Bruxelles e le altre capitali, saranno tre mesi di fibrillazioni.
I NUMERI E IL VOTO UTILE
Ad alimentare i timori ci pensano i sondaggi, che danno Marine Le Pen al primo posto davanti a tutti gli altri candidati alle presidenziali francesi. Solo lei raggiunge il 25%. A tenere accesa la speranza c’è il sistema elettorale di Parigi, che in teoria potrebbe fornire gli anticorpi necessari per scongiurare l’ingresso all’Eliseo della leader del Front National. Il 25% a favore vuol dire anche che – al momento – il 75% è contro. E i precedenti rivelano che in casi come questi i francesi si sono già dimostrati pronti a costruire una coalizione anti-Front nel nome del “voto utile” (Chirac fu sostenuto dai socialisti nel 2002 al ballottaggio con Le Pen padre).
TRE MESI CALDI
Di certo Bruxelles non può far finta di nulla, non può attendere il 7 maggio per preparare le eventuali contromosse. Perché, in contemporanea con la campagna elettorale francese, l’agenda a dodici stelle prevede una serie di appuntamenti-chiave. In questi novanta giorni l’Ue dovrà iniziare a trattare il divorzio con la Gran Bretagna, che notificherà ufficialmente la sua intenzione di uscire dall’Unione entro la fine di marzo. L’atteggiamento riservato a Londra sarà un messaggio anche alle altre capitali tentate dalla fuga. Ma non è finita. Tra meno di due mesi (il 25 marzo) Roma ospiterà il summit che avrà il compito di ridisegnare l’Europa del futuro. Domanda: che futuro potrebbe avere un’Europa che, dopo la Gran Bretagna, si trovasse orfana anche della Francia, uno dei sei Paesi fondatori?
PARIGI NON E’ LONDRA
Il pensiero dominante a Bruxelles è che una “Frexit” non sarebbe la stessa cosa della Brexit. Semplicemente per il fatto che, già oggi, i ruoli di Francia e Gran Bretagna nella Ue sono molto diversi tra di loro. Parigi è uno dei pilastri dell’Unione e – a fasi alterne – anche locomotiva. Londra ha sempre cercato – e ottenuto – un trattamento di favore. È fuori dall’Euro e dall’area Schengen, per esempio. È la dimostrazione che già oggi esiste un’Europa a più velocità, direzione su cui Angela Merkel ha invitato i suoi colleghi a insistere in vista del summit di Roma.
CERCHI CONCENTRICI E ZAVORRE
Quell’appuntamento servirà per riflettere sul fatto che è meglio percorrere la via che porta a più Unioni europee e non cercare una rigida e irraggiungibile Unione a tutti i costi, necessariamente forte e compatta su qualsiasi politica. Semplicemente perché non tutti i Paesi hanno le stesse sensibilità e le stesse esigenze e dunque un piccolo blocco può essere capace di paralizzare l’intera Unione. È anche per questo che Paul Magnette, leader della Vallonia, balzato agli onori delle cronache in autunno per aver tenuto sotto scacco il Ceta (accordo commerciale Ue-Canada), ha buttato lì una soluzione radicale: per il bene dell’Europa, il socialista belga ha auspicato che altri Stati prendano la strada della Gran Bretagna. Ha citato la Polonia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria, Paesi che alcuni governi considerano ancora come “zavorre”. Ma ha anche parlato di Danimarca e Svezia, con cui si potrebbe restare legati solo da un meno vincolante accordo commerciale.
FLESSIBILITA’ E DINAMISMO
L’idea della Cancelliera – che l’Italia sostiene da tempo – è ovviamente meno drastica e prevede un’Europa disegnata a cerchi concentrici, con gradi di integrazione variabili. Più flessibile e dunque più dinamica. È la ricetta per reagire alla Brexit. E per scongiurare un risultato simile se anche i francesi, in caso di clamorosa vittoria di Le Pen, si trovassero a decidere il loro destino europeo con un referendum.