22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

Nigel Frange

Dall’instabilità dei mercati alle incertezze sul processo di uscita (servono almeno due anni). La tempesta sulla politica britannica, il rischio di contagio dell’ondata anti-Ue

Leave: fuori. La Gran Bretagna vota per lasciare l’Unione europea, il barometro dei mercati punta verso la tempesta. Il ministero delle Finanze giapponese fa sapere di essere pronto a «rispondere in maniera adeguata per arginare la volatilità». Lo yen sotto quota 100 contro il dollaro per la prima volta dal novembre del 2013 è la misura della corsa alla moneta rifugio. Nel giro di 24 ore la sterlina ha perso il 13% nei confronti della divisa nipponica. Il valore dei Bitcoin, la moneta virtuale, sono in crescita del 5%. Di pari passo la volata dell’oro, altro bene rifugio, salito fino a 1.318,78 dollari l’oncia (quasi più 5%). Male invece il petrolio, le cui quotazioni sono scese del 5,4%.

1. L’uscita e la burocrazia Ue
Primi segnali di quello che succederà nei giorni a venire. Mercati in altalena e incertezza generale: ciò che piace meno in assoluto agli investitori. Un’incertezza che sarà difficile da sciogliere nell’immediato. Se è chiara la volontà degli inglesi lo sono molto meno le regole da applicare per arrivare a rispettala. Bisognerà sperimentare la clausola di recesso (articolo 50 del Trattato Ue): Londra notifica al Consiglio europeo la sua decisione, ma dal momento della richiesta occorrono due anni perché questa diventi effettiva. Comunque sia, il Consiglio può chiedere una proroga Il presidente Ue Tusk ha spiegato che potrebbero volerci addirittura cinque anni.

2. I campanelli di allarme per le Borse
Al momento in cui la vittoria del “leave” è diventata certezza, Tokyo è arrivata a registrare un calo di 8 punti – la giornata peggiore dal disastro di Fukishima – e Sydney è scesa di circa 4 mentre i futures sulla Borsa di Londra ipotizzano un calo del 7,4% per l’indice britannico Ftse 100. Non sono i numeri in sè a preoccupare: è l’atmosfera che si portano dietro. Perché l’incertezza sui mercati va di pari passo con quella politica: bisognerà capire se il premier David Cameron, il più illustre degli sconfitti della notte europea, lascerà immediatamente Downing Street.

3. La politica interna, non solo a Londra
In Scozia, dove il remain ha vinto con una maggioranza ampia – oltre il 60% – si cominciano già a sentire voci rabbiose: ai piani alti dello Scottish national party si parla già di un nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito. C’è il rischio insomma che parta un’ondata di secessionismo interno dopo quello esterno. Una difficoltà ulteriore per Londra che già dovrà affrontare il subbuglio nella City, con molti grandi nomi che si sono detti pronti ad andarsene. E una difficoltà per moltissimi governi europei, che a loro volta si troveranno costretti ad affrontare una nuova ondata di insofferenza verso l’Ue, sentimento piuttosto diffuso negli anni della grande crisi che sarà senz’altro rafforzato dal risultato del referendum britannico.

4. Si apre un negoziato difficile
Altro motivo di incertezza per la già provata economia del Vecchio continente, i rapporti che Londra proverà a negoziare con Bruxelles. Islanda, Norvegia e Liechtenstein, per esempio, non sono nell’Unione ma aderiscono allo Spazio economico europeo, regime che prevede la libera circolazione di beni, capitali e persone e la partecipazione ai programmi di ricerca ma riduce – in modo sensibile – il contributo al bilancio (e anche la possibilità di partecipare alle decisioni). Ma se percorre una strada del genere un Paese fondatore senz’altro non mancherà chi vuole accodarsi. L’anti europeismo, nelle urne, comincia a pagare in maniera preoccupante.

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