Si apre oggi una partita complessa: improbabile un Draghi bis ma non è detto che si vada subito alle elezioni senza cercare una nuova maggioranza
Mario Draghi l’aveva già spiegato alla stampa estera: sapete perché il cuore di un banchiere centrale ottantenne è il più ambito per un trapianto? Perché è come nuovo, non l’ha mai usato. Tradotto: inutile ricattarlo, lavorarlo ai fianchi, offrirgli dei dadi truccati, fargli calciare il pallone di Charlie Brown, quello che sparisce all’ultimo momento, né, tantomeno, proporgli la mozione degli affetti. E allora, almeno sulla carta, quella che si apre oggi è una partita complessa, con molti scenari ipoteticamente sul tavolo, dove però quelli che prevedono un lieto fine passano per una strada stretta come un cunicolo.
La marcia indietro
L’arrampicata sugli specchi è impresa tutt’altro che sconosciuta alla politica italiana, e quindi non si può escludere. L’armata dei Cinque stelle al Senato, decimata da fughe e scissioni, affronta la ritirata. Draghi e Conte si sono parlati, la trattativa con le parti sociali va avanti, i consiglieri del leader M5s che gli avevano assicurato che nulla di male poteva succedergli vengono degradati e si vota la fiducia, magari accompagnata da un ordine del giorno contro il termovalorizzatore e che riaffermi tutte le ragioni del Movimento. Certo, Alessandro Di Battista (e non solo lui) gli tirerebbe i coriandoli, ma i Cinque stelle eviterebbero il rischio di elezioni-suicidio.
Il pasticcio
È la soluzione che i Cinque stelle hanno a lungo accarezzato. Che problema c’è? Ci limitiamo a uscire dall’Aula, visto che il regolamento del Senato, a differenza della Camera, non consente di votare la fiducia e dire no al provvedimento. Non ritiriamo i ministri, non chiediamo rimpasti, nemmeno la sostituzione dell’odiato Di Maio, di fiducie ne voteremo tante altre. Letta, Salvini, Renzi, lo stesso Di Maio, tanti altri e soprattutto Draghi gli hanno spiegato che non funziona così, non si può stare con un piede dentro e uno fuori, né è consentito il giochetto del: mi si nota di più se non vengo o se vengo e me ne sto da una parte? Oltretutto sarebbe una mossa rischiosa, visto lo stato del Movimento: magari una fetta di senatori uscirebbe dall’Aula, un’altra voterebbe la fiducia, una terza si schiererebbe per il no.
L’andata a Canossa
È in quel castello, vicino a Reggio Emilia, che l’imperatore Enrico IV dovette umiliarsi, in veste di penitente. E i penitenti sarebbero tanti. È solo un’ipotesi di scuola, perché è più che improbabile che Draghi torni in Parlamento se l’unità nazionale muore. Comunque: i Cinque stelle non votano la fiducia e il premier va a riferire al Quirinale. Mattarella lo rinvia alle Camere. Una soluzione positiva non potrebbe che passare dall’accettazione rigorosa delle condizioni che il premier detterebbe per la sua permanenza. Un filo sottile, se non inesistente, perché un gioco di rilanci, pensando alla campagna elettorale, farebbe fallire il tentativo. E i fari non sarebbero puntati solo sui Cinque stelle, ma su tutti. A partire da Matteo Salvini che ieri ha inaugurato un suo modo per far fibrillare il governo, che si intitola: Mario Draghi è mal consigliato. Al momento quindi questo scenario è classificato come periodo ipotetico dell’irrealtà.
Le dimissioni di Draghi
È l’ipotesi più accreditata qualora si accertasse che non ci sono le condizioni per proseguire. Come ha più volte chiarito, il premier non sarebbe disponibile a proseguire con una maggioranza diversa, per quanto solida nei numeri. Il presidente della Repubblica potrebbe chiedere al governo di restare in carica, (anche se c’è l’incognita su chi lo guiderebbe, non è facile immaginare Draghi che gestisce l’ordinaria amministrazione) e sciogliere le Camere. Dal decreto di scioglimento alle elezioni anticipate dovrebbero passare, per legge, non più di sessanta giorni. Significherebbe votare alla fine di settembre o a inizio ottobre, lasciando tempi davvero risicati ai vincitori per varare un esecutivo e fare di corsa la legge Finanziaria per evitare l’esercizio provvisorio.
Avanti un altro
Non è detto che l’uscita di scena di Mario Draghi porti alle elezioni anticipate senza passare dal via. Sarebbe uno smacco di caratura internazionale, ma il presidente della Repubblica avrebbe comunque il dovere di verificare se in Parlamento c’è una maggioranza che vuole proseguire fino al termine naturale della legislatura o almeno fino al varo della legge di Bilancio. Una maggioranza senza i Cinque stelle e ovviamente con Giorgia Meloni che non avrebbe nessuna intenzione di entrarci, comporterebbe comunque uno spostamento del baricentro, che metterebbe in difficoltà soprattutto il Pd. E qui siamo ai boatos, ma nei palazzi della politica già se ne parla. Rispunta l’ipotesi Daniele Franco, già accantonata quando si prospettava la possibilità che Draghi diventasse capo dello Stato. Ma fa capolino anche l’ipotesi istituzionale, chiamando il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato. Per gli amanti dei precedenti: la XVI legislatura si sciolse il 22 dicembre del 2012, la XVII il 28 dicembre del 2017. Se anche la legislatura attuale si sciogliesse entro la fine di dicembre, fate voi i conti per la data delle elezioni: come già detto basta aggiungere un massimo di sessanta giorni.